Minor Victories – Minor Victories

Spesso il termine “supergruppo” ci fa storcere il naso, ben consapevoli che l’operazione commerciale è in agguato, e che un’accozzaglia di personaggi provenienti da background troppo diversi, e spesso decisi a reiterare lo stereotipo che li ha resi famosi, può rischiare di trasformarli in breve tempo nella caricatura di loro stessi. Con i Minor Victories questa eventualità è stata subito messa a tacere, e con l’uscita del primo singolo A Hundred Ropes hanno dimostrato la potenzialità del progetto che unisce Rachel Goswell, voce di Slowdive e Mojave 3, Justin Lockey, chitarra e synth negli Editors, ai quali si sono aggiunti Stuart Braithwaite dei Mogwai e il regista James Lockey, fratello di Justin, che cura i teaser e i videoclip, tutti rigorosamente black and white, che precedono l’uscita dell’album omonimo. Ogni membro porta la propria esperienza all’interno di una band che ha un’identità ben delineata, punto di incontro tra le suggestioni shoegaze, esaltate dall’eterea voce della Goswell, e la la potenza sonora del post rock, condita da una ritmica squisitamente pop che emerge in brani come Scattered Ashes (song for Richard).

L’inizio, fortissimo, con Give up the Ghost ci chiarisce subito le idee sul percorso che queste quattro personalità hanno intrapreso: un crescendo che delinea la prima parte del lavoro, dove troviamo tutti in fila i quattro singoli, dalla citata A Hundred Ropes, alla struggente Breaking my light (il video, con protagonista un anziano, emblema della decadenza e della solitudine, è un vero colpo allo stomaco), alle intricate costruzioni sonore di Folk Arp. Scattered Ahes (Song For Richard) introduce il primo ospite, James Graham dei Twilight Sad che presta la propria voce in un’armonia perfetta con quella di Rachel. Ma è dopo la metà che arriva la vera sorpresa: su For you always, riconosciamo subito la voce e quel cantato tipico, quello “stream of consciousness” che piega la metrica e gli accenti a proprio favore, di Mark Kozelek dei Sun Kil Moon. Un duetto in cui lui e la Goswell raccontano le origini della loro amicizia che ha il sapore di un amore platonico, nata ai tempi di Mojave 3 e Red House Painters. Nonostante la partecipazione illustre e per quanto accattivante, il brano non convince appieno, risultando troppo forte la personalità di Kozelez all’interno di un percorso stilistico preciso. Un brano che in un certo senso spezza il disco in due parti, entrambe bilanciate. Si riprende con il pezzo più shoegaze dell’intero album, Out to Sea e il ritmo incalzante di The Thief. Nell’epica conclusione con Higher Hopes si sente forte e chiara la matrice Mogwai.

Minor Victories non è un supergruppo, è una macchina ben oliata in cui ogni meccanismo funziona alla perfezione. Un lavoro di squadra in cui ogni componente porta la propria esperienza al servizio di un grater good che si palesa in questi 10 brani. Un lavoro che piacerà ai nostalgici del dream pop e dello shoegaze come agli amanti delle atmosfere cupe di un certo post-rock, stemperate e addolcite da un cantato impalpabile e celestiale. Un disco che non solo non delude le inevitabili altissime aspettative, ma addirittura le supera.

 

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