Mogwai: venticinque anni e non sentirli

Quando i Mogwai pubblicano un nuovo album, la notizia crea sempre un po’ di clamore. Stavolta, però, il clamore scatenato ha fatto balzare la band scozzese addirittura ai primi posti in classifica nel Regno Unito. Una circostanza surreale, ma probabilmente motivata anche dal fatto che il nuovo As The Love Continues è il decimo album in venticinque anni di onorata carriera per la band divenuta il monumento post rock per eccellenza.

Certo, dall’essere stati pionieri del genere all’averlo poi destrutturato con preziose e necessarie variazioni sul tema, ne è passato di tempo. Post rock e alt rock sono ormai due facce della stessa medaglia per una band che può permettersi di realizzare un disco solo quando lo desidera davvero e solo quando ne ha bisogno. Il rapporto di Braithwaite e soci con la musica è da sempre viscerale e indissolubile, al punto che, quando tutto sembra sia stato già fatto, ne vien fuori un nuovo album grandioso, solido, potente e fortemente devoto ai muri di suono che li hanno resi famosi.

Stavolta la band di Glasgow si è concessa undici canzoni che mescolano le proprie sonorità tipiche con le innumerevoli influenze dei suoi componenti.

As The Love Continues è infatti un tripudio di shoegaze, dream pop, grunge e chiaramente post-rock. L’album, registrato in un monastero abbandonato del Worcestershire, vede alla produzione il ritorno di Dave Fridmann, amico di vecchia data della band e già a lavoro su alcuni dei suoi primi album. L’infinita tristezza che permea tutti gli album dei Mogwai sembra ora ancor più approfondita, diventa malinconia ed aggiunge un nuovo tassello al mosaico emotivo della band.

L’amore, nonostante tutto. Lo si percepisce dal titolo, lo si evince dai sessanta minuti dell’album. C’è una verità sbalorditiva nella musica della band, una verità che sa svelarsi in trame sonore sempre calde e avvolgenti, perennemente sospese tra quiete e tempesta.

I Mogwai, sperimentano, si evolvono e firmano stavolta una perfetta soundtrack della propria carriera, senza inibizioni né confini sonori, mantenendo sempre intatto lo stile e l’istinto dirompente che li contraddistinguono da un quarto di secolo.

“Ritchie Sacramento”, splendido brano shoegaze dedicato agli amici musicisti della band scomparsi negli ultimi anni, è l’unico cantato (alla voce Stuart Braithwaite) e al contempo il migliore del disco in chiave pop. A dir poco interessante è anche il videoclip, girato da Sam Wiehl che, con il supporto della Unreal Games Engine, ha dato vita ad una sorta di videogame cucito ad arte sul brano.

“To The Bin My Friend, Tonight We Vacate Earth” apre il disco con un solenne pianoforte ipnotico e tensivo per poi far spazio ai consueti fragori chitarristici. “Here We, Here We, Here We Go Forever” e “Dry Fantasy” esaltano l’elettronica sospesa e robotica dei synth di Barry Burns, mentre “Drive The Nail” e “Ceiling Granny” rispolverano memorie grunge ed alternative rock, intervallate dallo spacey mood squisitamente notturno e votato al vocoder di “Fuck Off Money”.

“Midnight Flit” ospita i synth di Atticus Ross su un virtuoso gioco di chitarre ed archi, mentre le trame noir di “Pat Stains” ,abbellite dal sax di Colin Stetson, conducono all’ultima catarsi sonora di “It’s What I Want To Do, Mum”.

“As The Love Continues” è la sintesi perfetta di venticinque anni di Mogwai e conferma un’ispirazione in continuo stato di grazia.


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