Nel mondo di Nadia Terranova

Le botteghe color cannella di Bruno Schultz
Per la sensibilità della lingua.

Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen
Per la capacità di tenere insieme l’architettura della storia.

Le poesie di Anne Sexton
Per la sensualità e per la follia confessionale.

Memorie d’una ragazza perbene di Simone de Beauvoir
Per la capacità di raccontarsi in maniera politica e femminista.

Argo il cieco di Gesualdo Bufalino
Per il rapporto con la memoria.

Questi sono i cinque titoli di libri che più hanno influenzato l’attività di scrittrice di Nadia Terranova. Siciliana, finalista al Premio Strega nel 2019 con Addio fantasmi (Einaudi), Nadia Terranova è una delle voci più originali della letteratura italiana contemporanea. Quest’anno è tornata in libreria con Come una storia d’amore (Perrone), una raccolta di racconti, con cui è stata finalista al premio Viareggio-Rèpaci.


“Come una storia d’amore” ha riscosso successo ed è entrato nella classifica de “La lettura” del Corriere della Sera tra i libri più apprezzati di quest’anno. Tu hai cominciato a scrivere racconti, hai proseguito con la narrativa per l’infanzia, ma oggi i tuoi romanzi sono tradotti in tutto il mondo. Come nascono questi racconti? Hai una forma di scrittura prediletta o ognuna è spontaneamente associata a un determinato momento della tua vita?

Mentre lavoravo sul romanzo, riaffiorava in me l’esigenza di esprimermi in una forma più concisa. Cresceva dentro di me un’aspirazione alla forma breve, che mi spingeva a raccontare la mia quotidianità e, in particolare, Roma. In questi quindici anni ho scritto molti racconti quasi tutti ambientati nella capitale, ma non era pianificato. L’esperienza del racconto nasce quindi spontaneamente, ma mi sono resa conto che mentre la forma romanzo mi riportava al tema della memoria (certamente con i suoi condizionamenti sul presente), la forma racconto mi spingeva ad analizzare la realtà contingente, a stabilire un nuovo contatto con essa. Non ho una forma di scrittura prediletta, mi piace cambiare, mescolare le carte in tavola. Io penso sempre di scrivere romanzi, ma tra un romanzo e l’altro scrivo racconti.

Più che l’amore in sé, mi pare che la linea di continuità tra i racconti sia proprio la città, Roma. Roma con il suo linguaggio criptico, con le sue incertezze e paradossi. Tu sei nata a Messina e vivi a Roma, che rapporto ti lega a questa città? Cosa la rende così speciale e inadeguata, al tempo stesso?

Roma l’ho scelta e l’ho amata. Molto spesso è criticata e offesa, solo per pregiudizio, senza conoscerla veramente. Non è una novità sentire che Roma è caotica, è sporca, ma io detesto chi la denigra solo per il piacere di farlo. Mi piacerebbe che si parlasse di Roma con la cognizione della sua complessità. Ha delle difficoltà, problemi che sono innegabili. A volte la odi, ma dopo una fase di disprezzo riaffiora sempre l’amore. Un sentimento grande, intenso. Non basterebbe una vita per conoscere Roma.

“La felicità esiste, e mi ha schivato di proposito.
Non è una mania di persecuzione, mi ripeto, è solo il mio sguardo oggettivo su una realtà che ho analizzato per anni. La fuga da una città all’altra, i litigi improvvisati con persone a caso, le scuse sempre diverse per riuscire a non godermi mai niente. Pianti inutili e ripiegamenti cavernicoli ogni volta che appare una sfocata ma inequivocabile avvisaglia di serenità. Eppure, a riguardare le foto, mi ritrovo sempre ritratta con un sorriso imbecille.”
da “Come una storia d’amore”, Perrone, 2020

La percezione dell’assenza come momento di consapevolezza e transizione potrebbe essere uno dei fili invisibili che lega questo libro ad “Addio fantasmi” (Einaudi 2019). Quale altro legame unisce i testi della tua produzione?

Sicuramente quello è uno dei fili conduttori più importanti, ma ho anche altri temi ricorrenti nella mia produzione. Il rapporto padre-figlia ha un ruolo speciale, i luoghi, e la città in particolare, sono protagonisti indiscussi. Ogni spazio esprime una condizione interiore, corrisponde a uno stato d’animo. E poi ricerco sempre un dialogo con l’invisibile, con il passato, con la memoria, che sono punti saldi della mia scrittura. Qualcosa è cambiato negli ultimi anni, adesso ai racconti realistici contrappongo un’apertura verso il fantastico. Un modo nuovo di avventurarsi nell’invisibile.

In Italia emerge la tendenza a non valorizzare appieno le forme brevi di scrittura, come il racconto, altrove invece stimato e apprezzato, anche al Nobel. Solo dieci raccolte di racconti dal 1947, anno di istituzione del concorso, a oggi si sono aggiudicate il premio Strega. Eppure la tradizione della prosa italiana nasce con la novella di Boccaccio e continua fino ai racconti di Moravia, Nove, Magris. Come spieghi questo pregiudizio?

La sfiducia nasce dai dati editoriali, purtroppo i racconti non vendono come i romanzi. Lo scarso investimento sul racconto da parte delle case editrici è una mancanza di coraggio, certo, ma a questo si aggiunge una generale diffidenza del lettore. La tendenza è quella di preferire una storia unica, più fili rischiano di portare in confusione, di disorientare. Eppure credo che il racconto, come forma narrativa, ben si adatti al mondo veloce in cui viviamo. Infatti noto che qualcosa sta lentamente cambiando, gradualmente la forma racconto sta acquisendo maggiore spessore. Oggi c’è più coraggio.

Lo scorso mese è nata “K”, la nuova rivista letteraria di “Linkiesta” da te diretta. Il volume, di 320 pagine, è dedicato al sesso e raccoglie i racconti inediti di 19 autori italiani, tra cui Dacia Maraini, Teresa Ciabatti e Valeria Parrella. Ci sono inoltre due anteprime di romanzi: Don Winslow e Maggie O’Farrell, che usciranno a breve in Italia. Come nasce questo progetto e come continuerà?

Il progetto nasce da una testata online affermata, Linkiesta, che decide di investire sulla letteratura e sul formato cartaceo. Credo che la gente abbia voglia di leggere racconti che trattano la propria contemporaneità. Mi sembra che queste narrazioni siano specchio dei nostri giorni, chi legge può ritrovarsi in queste pagine. L’idea è quella di ricreare l’effetto della rivista letteraria novecentesca, che è stata un palcoscenico prezioso per molti scrittori e un punto di riferimento per i lettori, desiderosi di conoscere cosa si scrivesse, di cosa parlassero gli scrittori contemporanei. La scelta dei nomi degli autori è trasversale, ho ricercato la molteplicità per garantire l’unità, suggerita dal tema, il “sesso”. Una parola dirompente, che sicuramente crea imbarazzo, ma genera anche curiosità, specialmente in un anno in cui abbiamo dovuto pensare al desiderio, al corpo, in maniera diversa. Nel 2021 uscirà il prossimo numero.

Come hai vissuto, da scrittrice, il periodo del lockdown? Hai reagito e hai continuato a scrivere o a quel vuoto ti sei adeguata con una pausa?

Ho scritto tantissimo. I libri mi hanno salvato la vita, sia quelli scritti che letti. Ho letto più racconti, poesie e saggi, meno romanzi, ma non ho mai interrotto la mia attività.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Durante il lockdown, ho lavorato con l’illustratore messinese Lelio Bonaccorso alla realizzazione di un fumetto. Si chiamerà “Caravaggio e la ragazza” e uscirà a febbraio per Feltrinelli. Si parlerà del passaggio di Caravaggio a Messina. L’artista è convocato da un ricco mercante di seta per realizzare il ritratto di sua figlia, la giovane e ribelle Isabella. Sarà lei la protagonista di una storia, sospesa tra realtà e immaginazione, che è anche un omaggio all’arte e alla libertà. Inoltre sto scrivendo un libro per ragazzi, ma è ancora presto per parlarne.

Exit mobile version