NESSUNO TOCCHI <s>SAVIANO</s> GODANO, cap. 1

I. Di quando Godano rifinì la barba

Pippo, siamo pronti per presentare il prossimo gruppo? Va bene! Allora è il momento di una band veramente c-u-l-t, sono stati definiti l’unico gruppo italiano veramente r-o-c-k e hanno accettato finalmente la sfida del palco dell’Ariston. E con entusiasmo e curiosità che diamo il benvenuto ai MARLENE KUNTZ!”. Un consesso di chitarre elettriche e violini irrompe sulla scena per introdurre un elegante lupetto sotto una camicia bianca sotto una giacca rigorosamente nera, che ben si sposa con le grandi occasioni. Infine, Godano con barba 8 mm. Il povero cristo percorre scioltamente le scalinate della roccaforte della tortura e finge calma, mentre pensa che forse avrebbe dovuto dar retta al manager e raderla completamente, quella cazzo di testa, perché “Cristo! Così ti riconosceranno tutti!”. Fuori dal teatro delle torture, all’annuncio del suo ingresso, s’alzano urla feroci talmente alte da raggiunge la platea che, indolente, le crede un’orchestra di climatizzatori. Il povero cristo si asciuga la fronte imperlata di cipria e sudore e accenna un sorriso a Gianni Morandi.

Fuori il malcontento sta proliferando e germogliano i primi striscioni di rabbia e disillusione. La polizia, messa in allerta già dal pomeriggio, si interpone tra quelli che verranno poi bollati dalla questura come manifestanti facinorosi e il ponte levatoio. “Vergogna!”, grida qualcuno in lontananza, “traditore!”, fanno eco altre bocche in quell’ammasso di corpi inquieti. La roccaforte delle torture, da passerella di pellicce, stucchi di finissima qualità e cosce scosciate di allevamenti controllati, è ora sfondo di ben altra tragedia umana. “Cosa succede?”, chiedono passanti incuriositi, “Sgomberate signori, sgomberate!”, tuonano severe le uniformi blu.

Intanto il povero cristo è immobile su quel palco, talmente secco e ricurvo su se stesso da far pensare che la paranoia di cui aveva confessato con fierezza l’omicidio 13 anni prima, in realtà fosse risorta al terzo giorno dalla pubblicazione dell’album e avesse operato una lenta, subdola vendetta. Questa e altre domande si muovono come palline da flipper impazzite, nella sua testa. Il tutto mentre Gianni Morandi temporeggia ciancicando merda per permettere all’orchestra della tortura di affilare gli strumenti per l’esecuzione. Neanche il tempo di scostarsi dalla traiettoria degli sputacchi che il suo sguardo cade su una lanugine lattea. Ed ecco che un’altra pallina da flipper si lancia in quell’ovale di ricoveri sinaptici e sexy onanismi: “perché Vessicchio vive imbelle e impunito nonostante quel pesante marchio sul volto? I valori umani si fondano su banali considerazioni cromatiche?”. Pensieri neri come angoscia e amari come fiele, gli sussurra cinica la sua coscienza.

Vicino al ponte levatoio, un gruppetto di giovani mascherati da Anonymous (messaggio pubblicitario: solo per le calde rivolte di giugno, le maschere di Anonymous a $ 0.35/lotto e tante altre offerte su aliexpress.com!) avanza verso il cordone di uniformi blu. Alla sua testa, un viso pulito e bello – di questi tempi è un azzardo metterci la faccia – fa qualche passo in più, si blocca, prende un foglio dalla tasca dei pantaloni, lo spiega davanti a sé e “600-nonies del Codice Penale, Prostituzione mediatica di gruppi musicali- Chiunque induca alla prostituzione mediatica un gruppo musicale la cui attività sia di durata inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisca o sfrutti la prostituzione mediatica è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa […] Nel caso in cui il fatto sia commesso nei confronti di un gruppo musicale che non abbia compiuto gli anni sedici di attività, si applica la pena della reclusione […] Se l’autore del fatto appartiene ad una delle grandi major discografiche si applica la pena della reclusione o della multa, aumentata da un terzo a due terzi”. Il gruppo di Anonymous che lo segue, si sincronizza al suo incipit in una perfetta performance a cappella, un tutt’uno di voci rauche e tremanti. “Quanto fa male lavorare al male che compare a causa dei miei vuoti d’anima/ Sento l’inutilità obbligata delle scuse solite, il mio costume, la tua rabbia su di me”. Un articolo sconosciuto alla curia stessa e pochi versi inferti contro il loro stesso profeta sembrano una vecchia litania funebre senza fine, una denuncia quanto mai sofferta. Intorno, battute degne del teatro dell’assurdo, “è morto qualcuno?”.

“Di Godano, Tesio, Bergia – Canzone per un figlio”, pausa, “cantano i MARLENE KUNTZ”. Cara, è la fine.

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