Intervista ai Niagara

Foto: Alessia Naccarato

Al preludio del loro tour europeo, i Niagara dicono arrivederci alla loro città con un live al Cap 10100 di Torino, suonando insieme agli amici Drink To Me. Mentre la sala si stava riempiendo fin dalle prime ore della serata e il pubblico, desideroso di salutare nel modo più caldo possibile i loro concittadini, cominciava a fremere, siamo riusciti a fare quattro chiacchiere con Gabriele Ottino, Davide Tomat e Paolo Scappazzoni, membri effettivi dei Niagara e Germano Centorbi, amico e manager della band.

Oggi è venerdì 17 e tra poche ore suonerete qui al Cap 10100. Da uno a dieci quanto siete superstiziosi?

Davide: Io zero solitamente, ma il venerdì 17 devo dire che mi crea un po’ d’ansia.

Gabriele: Tra l’altro ci sono dei precedenti, la scorsa volta che avevamo suonato coi Drink to Me cadeva sempre di venerdì 17.

Germano: Comunque non è vero che non sono superstiziosi! Lo sono moltissimo!

Gabriele: Siamo superstiziosi in positivo. Abbiamo dei numeri a cui siamo legati e che ci portano fortuna: io ho l’8 per via del mio cognome – Ottino – e quindi me lo porto dietro dalla nascita, in più c’è anche il nostro primo disco che si chiama Otto.

Davide: Io invece ho l’11, me l’hanno sempre attribuito, poi ho iniziato a vederlo ovunque. Per caso nel mio disco solista avevo fatto undici pezzi e anche chi mi aveva recensito parlava sempre di questo undici. Però in realtà è da ieri che non funziona più nulla, anzi dalla mezzanotte di oggi.. quindi.. forse..questo venerdì 17 vuol dire qualcosa.

È un periodo di grande fermento per voi, ieri è uscito in esclusiva per Rolling Stone il video di John Barrett, oggi suonate di nuovo nella vostra città dopo sei mesi dall’ultima volta e il 22 aprile partirete in tour, toccando Svizzera, Gran Bretagna, Belgio e Germania. Con un’agenda così ricca di impegni, qual è l’evento che vi elettrizza di più?

Gabriele: Per quanto mi riguarda partire per il tour europeo e poi il soggiorno di un mese a Berlino, dove inizieremo a buttare giù le basi per il disco nuovo, è l’evento che mi mette più carica. Ma anche il concerto di stasera, perché si tratta di una celebrazione.

Davide: Noi non riusciamo mai a vivere il presente in maniera tranquilla, siamo più proiettati verso il futuro.

Gabriele: Paolo invece vive meglio il passato. (ride) Mentre suoniamo sappiamo che quello per noi è il presente migliore.

Davide: Il presente del concerto è un non presente. Il presente che non ti vivi alla fine è quello migliore da vivere, sono d’accordo.

Germano: Un’altra notizia positiva è che Else è stata passata per tre giorni di fila in una selezione di BBC 6 e il presentatore del programma l’ha scelta come sigla.

 

Niagara

Vi ha contattato lui per averla?

Germano: Penso ci sia arrivato con la promo europea. C’è da dire che i Niagara sono anomali: rispetto alle altre band italiane lavorano all’estero e in Italia no. In Italia sono arrivati i risultati, tipo quello che citavi di Rolling Stone. All’estero in più ci danno una mano come è giusto che sia.

Gabriele: All’estero c’è sempre stato un buon feedback, prima che in Italia. Adesso abbiamo un booking da un anno che è Locusta, ma con l’altro disco lavoravamo con un booking spagnolo. Siamo nati sotto un’etichetta inglese, mentre in Italia è stato più difficile, ci siamo sentiti forse più distanti.

A breve invece uscirà un remix di John Barrett, realizzato da Yakamoto Kotzuga, giovane promessa veneziana dell’elettronica che abbiamo intervistato a febbraio dopo la sua data torinese. Com’è nata la collaborazione tra di voi e quali sono le vostre impressioni sul suo primo e già acclamatissimo disco? Quali affinità vi legano e quali differenze vi dividono?

Gabriele: Stavamo cercando altre persone per completare i remix di Don’t Take It Personally che deve ancora uscire ed essere completato. Mentre seguivo i visual di Cosmo, il progetto parallelo di Marco dei Drink To Me, l’ho visto esibirsi a Milano e mi ha mosso qualcosa, in più che è giovanissimo.

Germano: Ciò che accomuna Kotzuga e i Niagara è un lavoro visuale molto marcato, perché lui lavora con Fabrica e fa video e come ambiente sonoro dilatato, anche se i Niagara hanno un po’ di schizzi. Loro suonano con degli strumenti, mentre lui con un computer, questa è la grande differenza.

Gabriele: E poi lui è giapponese. (ride)

Davide: Le diversità poi sono un valore aggiunto quando ci sono cose in comune belle. La sua sensibilità comunque l’apprezziamo molto.

Quanto ha invece influito il collettivo Superbudda sulla realizzazione di Dont’ Take It Personally e di Otto, i vostri due album usciti a distanza di un anno l’uno dall’altro? Se doveste raccontare di cosa si tratta a qualcuno di esterno dal settore musicale come lo definireste?

Davide: Il Superbudda c’è da prima che nascessero i Niagara, ma rappresenta anche la nostra nascita. E’ come se si trattasse delle nostre radici, delle nostre ossa. Ultimamente è passato da essere un semplice studio di registrazione ad essere un punto di ritrovo per tante persone. Si è amplificato e ci ha dato la possibilità di incontrare nuovi volti e menti. È come se fosse una potenza, che eleva qualsiasi cosa che fai, in modo risonante, come una reazione a catena. Chi fa fotografie influisce su chi fa video e via dicendo.

Germano: La definizione che si sono dati di creativo collettivo è la più giusta, perché si tratta di una factory.

Gabriele: Ultimamente si sente di più questa commistione. Ci sono anche collaboratori nuovi che non fanno parte propriamente del collettivo, ma ci aiutano. C’è un movimento davvero esagerato, un po’ come era all’inizio. C’è un bello scambio di idee.

Davide: Non è sempre semplice in Italia collaborare, anche tra realtà piccole, quindi non è così scontato. Invece di stare chiusi in studio abbiamo cercato di dare movimento allo scambio tra le persone.

Mi collego allora al fatto che stasera suonerete insieme ai Drink To Me, formazione eporediese, ma di casa a Torino che avete definito la più grande boy band italiana. A Torino c’è una scena musicale che sembra essere molto solida ormai, in cui rapporti di grande amicizia e stima tra le diverse formazioni sono facili da creare. E’ un’impressione o è così davvero? Secondo voi per quale motivo è nata questa rete?

Gabriele e Davide: In realtà facciamo finta, dai, perché così funziona di più! Piemontese falso e cortese! (ridono)

Davide: Con i Drink To Me siamo proprio come fratelli, con gli altri invece all’inizio c’era un rispetto reciproco..

Gabriele: Adesso ovviamente non più. (ride)

Davide: Ci si conosce poi bevendo in giro o suonando, un po’ come è successo a noi.

Germano: C’è un certo movimento, hai ragione, ma non è tanto torinese, ma di genere. Loro hanno un buon rapporto con Populous e con Kotzuga ad esempio, ma anche con tutti coloro che stanno portando avanti la musica in Italia. Attitudini simili li legano e li portano ad aiutarsi l’un l’altro e meno male che è così

Davide: La città è cambiata. L’Italia fa un po’ di fatica, ma adesso sta cambiando per fortuna. Abbiamo passato anche tanto tempo io e Gabriele da soli a suonare, ma le cose più belle escono condividendo con gli altri.

Niagara

Eppure, la vostra formazione non è sempre stata questa, vero?

Davide: Siamo partiti come trio, c’era anche Diego Perrone. Poi siamo ritornati duo, poi siamo diventati cinque, suonava anche Silvio Franco dei Numb e Anthony Sasso degli Anthony Laszlo e poi Paolo. Anche per questioni logistiche siamo rimasti in tre. Non aveva neanche senso essere di più.

Quali suggestioni sono state più forti in Otto e nei precedenti Ep, e quali sono invece dominanti adesso?

Davide: Quando abbiamo cominciato eravamo più intrippati con il lo-fi e con le sonorità sporche e disordinate. Otto è stato un po’ un best of dove abbiamo messo tutte le cose che abbiamo fatto, nell’ultimo disco invece abbiamo cercato di essere un po’ più caldi e ordinati.

Gabriele: Volevamo fare un disco più morbido all’ascolto.

Davide: Il primo Ep infatti era abbastanza rumoroso.

Gabriele: Coi Niagara siamo partiti in modo abbastanza terroristico. Il primo disco che non è uscito era stato fatto volontariamente per dar fastidio. Avevamo preso parti di colonna sonora che non potevamo pubblicare.

Avevo sentito infatti in una vostra precedente intervista che vi era capitato di trovare problemi usando spezzoni e campionature prese dalla colonna sonora di un film con Marilyn Monroe. Oggi in Italia come si rapporta la musica elettronica e sperimentale di fronte a queste avversità? 

Gabriele: In quel caso c’è da dire che avevamo preso uno spezzone notevole. Avevamo poi dei problemi di diritti di riproduzione, solo che erano orchestre degli anni Cinquanta e non riuscivamo a riprodurle. Tra qualche anno tra l’altro potremmo farlo uscire perché sono passati i cinquant’anni e diventa di dominio pubblico. Per gli altri casi invece dipende sempre come le camuffi, se prendi motivetti famosi ti possono anche denunciare per plagio, ma se campioni non è detto.

Come vi rapportate a questo cambiamento degli ultimi anni nel panorama musicale elettronico e sperimentale italiano?

Gabriele: Noi siamo a cavallo tra i due generi. C’entriamo di più con la musica sperimentale e live. C’è una volontà di cambiamento comunque, in alcuni paesi e città più che in altri. A me vengono in mente tre esempi: a Torino sicuramente perché ci vivo, un’altra città è Catania e poi la provincia di Bari.

In città come Roma o Milano?

Gabriele: Non abbiamo forse trovato le situazioni ideali, ma chissà chi lo può dire..

Vi ringrazio per averci dedicato del tempo e buon concerto! 

Tutti: Grazie a te!

Fotografie di Alessia Naccarato

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