Non avremo un po’ esagerato a incensare Lady Bird?

Sacramento, 2002. Christine (Saoirse Ronan) è una ragazza all’ultimo anno di liceo cattolico. Tra litigi adolescenziali con i genitori, il consolidamento di amicizie e i primi amori, la ragazza dovrà scegliere in quale college andare, ostacolata in parte dai problemi finanziari della famiglia e dal rapporto con la madre. Christine – che si fa chiamare Lady Bird – cercherà di ritagliarsi uno spazio tutto suo e di trovare la propria identità.

Scritto e diretto da Greta Gerwig (qui alla sua prima regia in solitaria), ha ricevuto due premi ai Golden Globe – miglior film commedia o musicale e miglior attrice in un film commedia o musicale – e cinque nomination agli Oscar, tra cui quella per Miglior film. La Gerwig ci propone un teen movie al femminile che procede su due binari (o meglio ancora, sui due lati della stazione ferroviaria citata nel film): da un lato c’è il racconto di formazione vero e proprio, il “coming of age” semi-autobiografico ambientato nella città della regista, con il bisogno di Christine di emanciparsi; dall’altro c’è il rapporto madre-figlia, tematica sempre ricca di spunti e anche qui in parte autobiografica (Christine è anche il nome della madre della regista).

La citazione iniziale e l’incipit folgorante – Christine che si getta da un auto in corsa – costituiscono una dichiarazione d’intenti: fin da subito è chiaro il bisogno della ragazza di fuggire dall’oppressione materna, dalla città in cui vive, dalla scuola cattolica (il crocefisso è un simbolo che torna spesso sullo sfondo, a partire proprio dal poster ufficiale del film). Perché nonostante Sacramento sia il capoluogo della California, ci viene presentata comunque come una realtà provinciale: quella sensazione di vivere dal lato sbagliato della ferrovia, dal lato meno ricco e interessante della città viene giustapposta alla sensazione di vivere in una realtà piccola e insignificante, al di fuori di quelle più interessanti rappresentate da città come New York (meta per gli artisti e centro nevralgico in questi anni, con un’America ancora traumatizzata dall’ 11 settembre). La ragazza si sente tagliata fuori.

Il film vive di quei cliché tipici del teen movie americano, che qui sembrano esserci dal primo all’ultimo: scegliere gli amici “in” a discapito di quelli di una vita, la perdita della verginità (con un Timothée Chalamet che interpreta un personaggio molto cupo che sembra uscito da un romanzo come “Meno di zero” di Bret Easton Ellis), la recita scolastica, il ballo di fine anno,il pranzo del giorno del ringraziamento e ovviamente la scelta del college, trattati tutti più o meno in maniera convenzionale. C’è da dire che però il rapporto della protagonista con la madre (Laurie Metcalf) è ben sviluppato e porterà ad un punto di svolta nella mentalità di Christine, in un finale davvero poetico: con una sequenza in voice over, colonna sonora di Jon Brion di sottofondo e panoramiche di Sacramento, la protagonista arriverà ad alcune considerazioni che solo la lontananza e la nostalgia di casa possono portare a fare.

Il film non è poi così dissimile da “Brooklyn”, una delle ultime pellicole interpretate dalla Ronan: raccontano dell’ebbrezza del cambiamento, del trasferimento da una piccola realtà ad una più grande; entrambi i film però rischiano di perdersi nell’anonimato, di non aggiungere nulla in particolare rispetto ai propri generi d’appartenenza. Anche qui possiamo dire che la Gerwig procede su due binari: se da un lato c’è una buona dose di creatività genuina, trattandosi di un film molto personale e di una realtà che conosce bene, dall’altro rischia di essere un’epigona del regista a cui è più legata, Noah Baumbach (un pò come successe a Ryan Gosling con il suo esordio alla regia “Lost River”, sempre con Saoirse Ronan, che tanto risentiva della sua collaborazione con Nicolas Winding Refn). Dalla Gerwig insomma ci si sarebbe aspettato un teen movie più innovativo, eccentrico (come “Diario di una teenager”, altra opera prima tutta al femminile).

Insomma, una pellicola che poteva essere un degno rivale di “Chiamami col tuo nome”, ma che – nonostante sia ben scritta interpretata, risulta scontata e, al contrario della protagonista che invece trova una sua identità, un po’ priva di carattere.

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