Non calpestare la gioventù

Foto di Yara Nardi

C’è uno scatto che ha destato un certo scalpore tra quelli degli scontri alla manifestazione di Roma di sabato scorso, e che ha riaperto il vecchio dibattito sulla necessità di rendere riconoscibili le forze dell’ordine attraverso i numeri identificativi sulle divise. In effetti questa immagine è abbastanza evocativa, la ragazza è inerme a terra protetta da un ragazzo e un poliziotto non si fa problemi a calpestarla volontariamente (in questo video c’è abbastanza per capire quello di cui stiamo parlando). Sarebbe importante a questo punto una riflessione, perché spesso su questo tema abbiamo le idee confuse, sospesi a metà tra la retorica della citazione di Pasolini a Valle Giulia, e la retorica del poliziotto cattivo. Tra queste due retoriche o argomentazioni c’è sempre spazio per una qualche idea di realtà e di giustizia: non sempre chi protesta ha torto, non tutti i poliziotti sono delle merde. Ma qui sta tracciare una specie di confine per isolare chi sbaglia: quel poliziotto che ha calpestato barbaramente la pancia di una ragazza, credendo che nessuno lo guardasse, è una merda, e non ci sono altre parole per definirlo. Se avesse uno di quei sensi di colpa a cui la nostra società è stata abituata a credere, oggi direbbe ”sono stato io”, ma non lo farà, sarà tornato in tempo per la cena a casa dalla moglie a mangiare guardando gli scontri in televisione, e magari starà fissando quell’immagine sperando che nessuno lo riconosca.

Non calpestare la gioventù dovrebbe essere il grido straziante di questa società, perché la gioventù è il futuro, il più delle volte innocente nel subire quello che gli capita addosso. Sono quelli che hanno costruito fino ad ora ad aver creato questi dislivelli di giustizia. Quando uno come Dell’Utri diventa la classe dirigente del paese la gioventù non ha colpa: la colpa è dei padri. Parliamo di una vicenda personale (e ne abbiamo scelta una a caso tra la folla di vicende personali) che è stata legata inevitabilmente a un certo impoverimento o vuoto nel nostro paese, che forse è apparso più lampante ai tempi di Tangentopoli ma che è in realtà si lega a un’esplosione di piccoli egoismi e decadenza nazionale assieme. Bisognerebbe affrontare questo vuoto, della classe dirigente italiana e di come ha pervaso l’intera società, un vuoto che dura sin dai Sessanta e Settanta in salsa DC, con le sue strategie della tensione; un vuoto che è rimasto vivo negli Ottanta e nel ventennio berlusconiano. Un vuoto che ha lasciato impunite le colpe delle forze dell’ordine durante il G8 di Genova nel 2001.

Qual è la speranza per la gioventù in un panorama del genere che continua a calpestarla?

Exit mobile version