Non sparate sull’intellettuale

I tempi sono cambiati, si sa, e gli intellettuali sono tutti morti, ma ogni estinzione ha un suo perché. I dinosauri e gli asteroidi, Thom Yorke e Spotify, Berlusconi e la giustizia. Gli altri, quelli che si fregiano di questo titolo, cercano di vendere soltanto le loro lezioni in dvd, di una cultura impacchettata e da gustare su LaEffe al mercoledì sera o nozioni di cui qualcuno poi gli attribuirà la creazione. Alcuni, che intellettuali lo sono davvero, stanchi di un titolo che fa più male che bene, se ne sono andati, si sono nascosti per non venire compromessi. La scomparsa dell’intellettuale impegnato coincide anche con l’evoluzione della nostra cultura, se la gente legge meno e compra sempre meno quotidiani toglie all’intellettuale, quello vero, la propria voce e il suo ruolo risulta, inevitabilmente, impotente.

Un momento di ilarità fra Montale, Moravia e Pasolini.

Mancano gli scrittori (Gio Taverni ne ha parlato in modo eccelso qui), ma quello è un dato superfluo, difficilmente un’epoca riconosce i suoi geni, tanto meno la nostra che premia quelli che vendono di più e tutti si credono di poter scrivere, che tanto un editore lo si trova sempre. Alcuni ci riescono, altri no, alcuni valgono la pena di spendere sudore sulle loro pagine, altri aiutano il camino a ravvivarsi, ma questa è la norma. Un mondo in cui tutto possiede in sé un grande valore sarebbe, anche, un mondo parecchio noioso. E, in realtà, gli ultimi grandi scrittori, che vengono sempre da fuori dall’Italia, sono stati riconosciuti, e bruciati, troppo in fretta.

Manca la politica ma, più che altro, manca la sua componente fondamentale: le persone che la fanno. Se non hai orecchie a cui parlare perché dovresti uscire dai tuoi reading per andarle a cercare, tanto non ti ascoltano. Se è vero che Erri De Luca si è trovato in mezzo ai NoTav, che Rodotà ammette che le rivendicazioni dei gruppi estremisti sono, seppur non condivisibili, comprensibili, qualcosa forse si sta evolvendo, ma è una generazione che si è svegliata troppo tardi e il suo tempo l’ha già fatto. Noi italiani amiamo le discussioni, trovare in qualsiasi azione un secondo fine, siamo figli di Machiavelli anche se ne parlano più gli stranieri che le nostre scuole. E, allora, se Erri De Luca si trova su la Repubblica in prima pagina per aver parteggiato con il movimento della Val Susa e a pagina due ci trovi la pubblicità del suo nuovo libro per Feltrinelli un po’ ci rimani male, ma ognuno deve tirare a campare e, il suo, rimane un gesto da non sottovalutare. Riconosciamogli almeno di essere sceso tra le persone invece che scriverci un pamphlet.

La realtà è che, probabilmente, visto il momento in cui ci ritroviamo gli intellettuali servono soltanto alle testate giornalistiche per l’inserto di cultura o per i festival in cui raggrupparli, per far vedere che non si sono estinti. Gli intellettuali impegnati, quelli sì, sono scomparsi davvero. Ma, per impegno, non si parla di parte politica, quanto della necessità di riempire l’opinione pubblica di domande, di far pensare, di contraddire tutto quello che viene detto. È pur vero che internet ci ha riempito di questi personaggi (si veda Agostino Bertolin qui), in una specie di talent show fra moralizzatori. Se chiunque può scrivere un libro, incidere un pezzo o farsi notare per un video su YouTube allora con la stessa semplicità ci si può erigere a moralista. Anche l’opinione è finita in mezzo a questo mare ed il suo valore ne risulta svuotato. In questo senso, i tempi, sono davvero cambiati. Se tutti possono fare tutto allora nessuno ha un suo ruolo, ma a capo di un ministero dell’istruzione non ci metteremmo mai un avvocato che non ha mai insegnato.

La versione 2.0 dell’intellettuale al tempo di internet

Se la cultura perde la sua importanza chi fa cultura, e non ci mangia, subisce il complesso del padre-padrone che mandava il secondo genito in convento. E se, sinceramente, qualcuno avesse i mezzi e le possibilità per fregiarsi di questo titolo gli converrebbe non farlo perché in ogni caso ne risulterebbe danneggiato e, al primo passo falso, sarebbe fatto fuori. Di teste buone ce ne sono, di bravi scrittori pure, di politici onesti anche, è tutta l’altra parte ad essere sbagliata ed è in questo contesto che, probabilmente, solo una versione rieditata dell’intellettuale ci può salvare.

Non sparate sull’intellettuale, sì, ma bloccate anche chi cerca di farlo per sport.

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