Il normcore è una presa per i fondelli

L’altro giorno ero in treno e riflettevo sul fatto che la mia vicina di posto fosse normcore senza saperlo: castana, capelli legati, sulla cinquantina, avrei voluto interromperla mentre giocava con lo smartphone per darle la notizia, farle sapere che se aveva indossato i primi vestiti che le erano capitati sotto mano non era per una sorta di comodità da viaggio, ma perché stava seguendo un dettame, una moda, uno stile. Il normcore.

Ho sentito evocare il normcore la prima volta su Vice (manco a dirlo) che a sua volta evocava il New York Magazine, che citava a sua volta la previsione di un’agenzia di tendenze di moda: insomma il normcore è un’invenzione creata apposta per soddisfare bisogni che non pensavate di poter avere. Pensiamo per un attimo a Karl Marx, che non era un hipster o un normcore ma un tipico uomo in barba dell’Ottocento. “La merce è […] una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di un qualsiasi tipo”, scriveva. Ma cosa sono questi bisogni? Sono reali come quello di mettere un paio di scarpe per camminare e solo per camminare, mangiare qualcosa solo per sfamarsi, bere solo per non sentire sete; o sono secondari artificiali come quello di indossare una t-shirt di una certa marca perché ci piace quella certa marca, e ci riconosciamo in quella certa marca che fa tendenza in un certo gruppo, fino all’i-Pad, bisogno che non sapevamo di avere prima di possederne uno. Il punto è che il normcore rende i bisogni primari, cioè il semplice fatto di prendere un paio di scarpe e una t-shirt alla cazzo di cane, secondari: cioè li fa diventare di tendenza, come se significassero qualcosa. Magari ora le case di moda possono addirittura aumentare il prezzo delle scarpe alla cazzo di cane perché sono normcore. E’ una grande invenzione per loro, una grande presa per i fondelli per la mia vicina di treno.

La cosa divertente è che nel giro di pochissimo tempo il normcore è diventato così di tendenza che ti ritrovi questa parola dovunque, e senza neanche cercarla: ne parla IlPost, addirittura se n’è accorto Panorama, e su tumblr il tag #normcore sembra godere ormai di un certo successo (non certo estetico). Gli unici che mostrano un po’ di scetticismo per questa nuova ondata sembrano proprio gli americani: Elle ci va pesante subito col titolo, e chiama il normcore una frode (”dressing like an uncool dad is in the fiber of hipster culture”). Ma c’è chi sta già stilando classifiche di musica per normcore in rete. Tra l’altro, a grande sorpresa, pare che uno dei paladini dello stile sia James Blake, incoronato dal New York Times.

Non che si capisca la sottile linea di demarcazione tra normcore e qualsiasi altra cosa, visto che c’è chi tra quelli che fanno musica vestendo normcore mette le Haim, Mac DeMarco, Kurt Vile, e i Real Estate. Tanto valeva a questo punto metterci dentro chiunque in pigiama, pure certi grungeist come Cobain e Vedder. Insomma, questa parola significa così tanto niente che domattina potremmo inventarcene delle nuove, del genere gjkjladjlkaslk-core. Come niente significa lo schema che ha pubblicato l’agenzia che ha creato il trend.

A un certo punto di questa disgraziata ricerca mi è tornato in mente lui, il tipico uomo normcore che era normcore prima ancora che esistesse il normcore. Aveva il marsupio, ed era più avanti di tutti. Aveva un marsupio degli Ottanta sul finire degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, negli anni zero, e con un grande coraggio se lo portava appresso ovunque, per tenerci dentro le chiavi, il telefonino e il portafoglio e chissà che altro, le foto di famiglia magari. Ho ricordato lui che portava avanti la lotta generazionale contro gli hipster con grande coraggio ed estrema forza di volontà, e ho pensato che oggi ha avuto la sua rivincita, come quella di Zuckerberg contro i bulli a scuola. Questa è l’era della California iper-connessa, appendete pure al chiodo i vostri surf, e chiedete a qualcuno di farvi uno scialle.

Senza esagerazioni e sarcasmi però la collezione del normcore è veramente troppo ricca per capirci qualcosa, va da Kate Middletone ai protagonisti di True Detective a certi telefilm degli anni Ottanta. Di che diavolo stiamo parlando quando parliamo di normcore? Di Steve Jobs, di Barack Obama a una partita di baseball, di chiunque di noi quando è casual, di un tizio che fa jogging, dei vecchi coniugi della provincia o della deriva dell’indie? Di nulla, ovvio. Se continuiamo a credere che esista questo normcore, se continuiamo ad assecondare questo presunto nuovo stile, allora mi sento di fare una mia previsione di tendenza, che ovviamente vale meno di quelle di qualsiasi agenzia di New York: la vostra t-shirt monocromatica aumenterà soltanto di prezzo, senza cambiare i connotati sia chiaro. Non sarà mica di seta, solo normcore.

Per chiarirci le idee qui sotto una raccolta fotografica esemplificativa di quello che offre la rete per descrivere i normcore: ora potete tornare confusi.

 

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