Ohio | La provincia americana massacrata di Stephen Markley

Ohio di Stephen Markley esordisce con un Preludio che è già un racconto autosufficiente, talmente è fulminante la bellezza della scrittura e della traduzione di Cristiana Mennella. In questo Preludio ci sono i temi portanti di quello che poi diventa un romanzo corale di oltre 500 pagine, uno dei più brillanti nel panorama letterario statunitense contemporaneo. La storia è quella di una costellazione di vite millennial spezzate dalla storia e dalle decisioni economiche e politiche degli ultimi tre decenni. Le premesse delle prime pagine si ramificano, con l’avanzare dei capitoli, su piani temporali differenti che si mescolano continuamente, con un narratore onnisciente che mette subito in guardia:

Difficile dire dove finisca questa storia o come sia cominciata, perché una delle cose che alla fine imparerete è che il concetto di linearità non esiste. Esiste solo questo sogno collettivo scatenato, incasinato, incendiario in cui nasciamo, viaggiamo e moriamo tutti. (pag.23)

“Ohio” si apre con una parata in onore di Rick Brinklan. È il 2007 e a sfilare è un feretro vuoto perché Rick è morto mesi prima, ma l’amministrazione di New Canaan, cittadina fittizia in un Ohio molto realistico, ci tiene a portare a compimento questo Memorial Day ritardatario. Siamo in un territorio martoriato dalla droga, dallo sciacallaggio industriale, dai postumi dell’11 Settembre e delle guerre conseguenti. Eppure i cittadini di New Canaan, «annidati nel quadrante nordest dell’Ohio, equidistanti da Cleveland e Columbus», tempio dell’Ohio più “bianco” e «lontani dai quartieri neri a rischio», sono lì a celebrare la patria e il loro senso di appartenenza. Ci sono solo un paio dei vecchi amici di Rick e poi gli striscioni, i giubbotti dell’Ohio, i berretti dei veterani di Desert Storm, gli immigrati a sventolare le loro bandiere a stelle e strisce ancora più forte e tutta una umanità che ha messo le sue radici nella provincia statunitense più complicata. È una «patria immaginaria» quella che celebrano e Rick stesso, il soldato defunto, non era altro che il classico «tipo di cui abbonda la pancia gonfia del Paese»: amava solo fucili, donne, guerra, football, ma nel ricordo dell’amico Ben Harrington, presente in quella giornata di ottobre 2007, «aveva dentro interi oceani, territori selvaggi, fantasmi implacabili e duecento milioni di stelle.»

Sei anni dopo, nel 2013, quattro degli amici di Rick diventano i protagonisti di una lunga notte di cambiamenti, ricordi e decisioni sbagliate, in una prodigiosa ricostruzione di tutto quello che in una vita di provincia può trasformarsi in un incubo.

La coscienza politica della provincia americana

Il primo ritorno a New Canaan che Markley racconta è quello di Bill Ashcraft, una missione da compiere e uno «stato di torpore […] irriflessivo» perenne favorito dalla droga, dall’alcool e dal disastro che è diventata la sua vita. Diversi, invece, sono i motivi del ritorno Stacey Moore, Dan Eaton e Tina Ross. Quello che però li accomuna è l’assenza al funerale di Rick, il nodo delle questioni private dei quattro millennial scelti da Markley. Per loro è scomodo il ricordo della parata in sé, il pensiero della propria assenza, ma diventa ancora più intollerabile il risvolto politico e sociale che quella morte in guerra ha comportato. La scelta militare di Rick crea conflitti nelle loro coscienze e in quelle di molti altri coetanei membri della comunità di New Canaan. Servendosi del vecchio attivismo politico di Bill, saccente e disincantato, e dell’onnisciente voce narrante, il romanzo spiega il declino rovinoso delle città industriali dell’Ohio, lo spaccio e il consumo smodato di droga, i fatti del World Trade Center e i reclutanti dell’esercito nei licei, nei giorni immediatamente successivi all’attentato, per arruolare anime giovani che partissero per la guerra in Afghanistan. Bill mette in guardia dal nazionalismo ottuso: la sua rabbia per George W. Bush, Dick Cheney e i media istituzionali è incontenibile, perché colpevoli dello spirito guerrafondaio statunitense nel primo decennio degli anni 2000. Bill critica la retorica del soldato eroe che va ad immolarsi per la salvaguardia della democrazia, ma attorno a lui cresce il coro di bianchi ottusi, «buzzurri dell’Ohio», che lo contestano con idee razziste perché gli “Stati Uniti bianchi” sono in pericolo. Le loro sono prese di posizione tuttora familiari, nonché il terreno fertile per l’elezione di Donald Trump nel 2016. Per questa sua natura fortemente politica, “Ohio” è capace di rappresentare una fetta piccola, bianca, eppure significativa degli Stati Uniti contemporanei, un tassello fondamentale per comprendere il destino della provincia e della nazione intera, soprattutto in tempo di elezioni presidenziali.

La crisi esistenziale dei millennial

“Ohio”, si è detto, è un romanzo fortemente politico, ma allo stesso tempo sa essere voce di una intera generazione, quella millennial della provincia americana, nel pieno di una profonda crisi identitaria. Il dramma esistenziale è quello di Bill, sgretolatosi sotto il peso delle sue stesse idee, ma anche quello di Rick, convinto che la “sua” guerra avrebbe cambiato il mondo. Stacey Moore, invece, combatte per il riconoscimento della sua identità in una New Canaan ritrovata, ma sempre pigra e statica perché abbandonata a se stessa. Dan Eaton elabora, faticosamente, i traumi del passato e Tina Ross, dal canto suo, dà voce alla lotta quotidiana con i disturbi alimentari e i tagli sulla pelle innescati dalla crudeltà altrui. Sono questi ultimi i capitoli più riusciti.

Quando hai quasi trent’anni, ti accorgi che i tuoi coetanei cominciano ad andare o da una parte o dall’altra. Alcuni conservano la giovinezza senza fatica, altri cominciano ad imbarcare anni come acqua che scroscia da un buco nello scafo. (pag 225)

La generazione millennial è stata plasmata dall’idea di una apocalisse imminente, quella che si è poi verificata parzialmente con l’elezione di Trump e la pandemia da COVID-19, eventi che “Ohio” in un certo senso prevede. (Pubblicato nel 2018 in USA, Markley racconta di aver venduto il romanzo alla propria casa editrice poco prima dell’elezione di Trump.). Una generazione che è scesa a patti, suo malgrado, con l’idea della catastrofe alle porte, forgiata dalla mancanza di lavoro e da speranze disattese. Le generazioni millennial americane, del resto, sono state testimoni dirette di una guerra che ha modificato in maniera irreparabile le dinamiche sociali della provincia americana, nonché il già precario equilibrio psicologico di coloro che la guerra l’hanno combattuta sul campo. “Ohio” indaga la natura umana di questi giovani adulti che si confrontano quotidianamente con la devastazione esistente e il peggio che arriva. E forse chissà, non siamo già nel peggior scenario possibile? A farli galleggiare sull’abisso c’è la droga, unica fonte di sostegno monetario e psicologico per molti di loro, mentre la violenza diventa il linguaggio più diffuso e facilmente comprensibile. In questo Ohio bianco e dimenticato, la generazione millennial si prende a pugni senza motivo, stupra, spara, raccoglie cadaveri dal campo di battaglia ed è con questa violenza che affronta la sua emotività.

L’Ohio

Il palcoscenico di questa generazione è l’Ohio di Stephen Markley, nativo di Mount Vernon, in cui «storia e pathos potevano concentrarsi negli angoli più imprevedibili».“Ohio”, però, non è un compendio su un singolo stato, ma archetipo di una condizione molto particolare perché «ogni città dell’Ohio aveva grosse zone incancrenite simili a New Canaan». Ma New Canaan potrebbe essere ovunque: nella cosiddetta Rust Belt, ma anche nelle periferie difficili dei grandi centri urbani. Quella di “Ohio” è una terra massacrata e tenuta in vita da colture intensive, è la desolazione delle industrie abbandonate, della disoccupazione, della recessione e le conseguenze mortali della crisi degli oppioidi. Eppure l’Ohio di Markley ha una scintilla di vitalità:

Posti dove trovavi cacciatori quand’era stagione, bambini che giocavano alla guerra in estate e ogni tanto adolescenti che andavano di nascosto a giocare tra di loro. […] Più che altro era terra di specie arboree mescolate, aroma di grasso e praterie alluvionali punteggiate dal viola inchiostro di grandi lobelie blu. (pag. 454)

È una terra silenziosa in cui la natura è sovrana e matrigna e gli abitanti sono mostri e vittime. Chi si è allontanato da questa provincia soffre nel ritornarci, eppure il richiamo dei cieli enormi e dei campi che scorrono dai finestrini dei pickup che li riporta a casa non rimane inascoltato.

L’aria risuonava di grilli dell’Ohio, le loro speranze, barzellette, litigate e pazzeggi tutti riuniti in una scoppiettante sinfonia. (pag.164)

Struttura, linguaggio e traduzione

Ohio è un romanzo tecnicamente complesso, un mystery con una serie di obiettivi precisi: riportare a galla i segreti di New Canaan, raccontare la società statunitense, i suoi fallimenti e quel barlume di splendore che la terra sa offrire. Il tutto confezionato in una struttura temporale peculiare: l’alternanza delle vicende dei singoli personaggi, a cui l’editoria moderna ci ha abituati, lascia spazio ad una scelta più interessante e fortemente voluta da Markley. Le storie si intrecciano a posteriori così che il procedere della lettura diventi un puzzle a cui lentamente si aggiungono tessere. È per questo motivo che il Preludio è autoconclusivo e pieno di avvisi: è il modo che lo scrittore ha per preparare la lettura e anticipare lo smarrimento iniziale. Ognuno dei quattro protagonisti ha, quindi, un suo capitolo e in ciascuno di essi gli stessi personaggi secondari faranno capolino segnando l’andamento della nottata in maniera inequivocabile.

La struttura temporale ha ripercussioni anche sulla scelta linguistica di Markley e il suo stile di scrittura. L’autore usa prevalentemente un linguaggio tutto personale in cui le velleità liriche incontrano il suo naturale tono dissacrante, ma poi lentamente questo incedere scompare, per poi riapparire in conclusione di romanzo. “Ohio”, si diceva, parte con un Preludio completo e già carico di questo lirismo singolare, ma poi la scrittura diventa più essenziale, più focalizzata sui fatti e i ricordi, quasi prendesse più piede l’urgenza di raccontare. Una scelta voluta o una perdita di controllo nell’enorme mole di lavoro del romanzo? La risposta arriva col capitolo dedicato a Dan Eaton: un nuovo cambio di registro e il ritorno della scrittura più emotiva e acuta che si aprirà definitivamente nel capitolo finale. L’attenzione, allora, si sposta di nuovo dai fatti alle parole sapientemente scelte e ottimamente rese in una traduzione italiana bellissima. Markley e la traduttrice Mennella mettono in campo espressioni come «l’appetito pestilenziale della breve festa del genere umano», o descrizioni cariche di riflessione come «Il fiume parlava e il suo singolare tracciato che macinava la terra, modellandone i contorni, narrava storie profonde sul tempo, il perdono e la geologia.» Ed infine, alcune pagine più tardi:

Il cielo rosa diventò viola, poi blu, contorcendosi con la polvere per creare un gelido lago d’etere, fendendosi sui minare e i modesti palazzi. […] tutto sembrava quieto come un bisbiglio (pag. 334)

L’imperfezione nella continuità della scrittura diventa l’arma vincente che rende il romanzo un unicum.

La Coda del romanzo chiude il cerchio della vicenda umana e sociale, e fa tornare lo stile lirico e sornione di Markley ora che il mistero pare risolto. Quello che rimane, alla fine, è il disincanto alimentato da disperazione e violenza: questa provincia non cambierà mai, la generazione millennial tutta non cambierà più, anche se qualcuno in “Ohio” ci ha davvero provato. Ma l’autore, deus ex machina imperturbabile di questa generazione perduta, mostra sempre una sottile empatia e persino slanci di ottimismo latente, quelli che spingono a cercare il bello anche nell’Ohio più difficile.

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