Oltre l’Apparato c’è davvero la nuova sinistra?

La chiamano “nuova sinistra”, per offrire ancora alla base, confusa e perplessa, la flebile illusione di un seppur vago residuo di continuità ideologica, ma gli anni di sistematico autolesionismo, dalla svolta “battesimale” della Bolognina al veltronismo decorativo per interni, hanno consentito alla dirigenza di quella che fu la principale forza di sinistra del Paese di raccogliere meritatamente quanto seminato: quasi tre milioni di votanti alle Primarie hanno consegnato la guida della segreteria del Pd, con quasi il 70% dei suffragi (un milione e seicentomila voti) a Matteo Renzi. Gianni Cuperlo che, schivando i calcinacci del Muro di Berlino, in illo tempore aveva avuto il controverso onore di essere l’ultimo segretario della Fgci, per quanto scelto da D’Alema e Bersani, ovvero dai presunti titolari della golden, anzi red share sul partito, non va oltre un deprimente 18%, a poca distanza dal 14% ottenuto da Civati, un Giuseppe che si fa chiamare Pippo forse per suggestione disneyana.

L’Apparato e la vecchia nomenklatura sono sconfitti, ma la sinistra aveva già perso da anni, disorientata e trasfigurata dalla real politik e dal linguaggio immaginifico culminato nelle narrazioni vendoliane, declinate in un linguaggio altrettanto astratto e iniziatico di quello a suo tempo usato da Aldo Moro. Eppure il comunismo rimane lo spauracchio preferito da Berlusconi, il suo sarchiapone di battaglia: pur privato del seggio parlamentare, l’ex premier continua a raccontare agli italiani che le guardie rosse stanno marciando verso Palazzo Chigi, e che lui è nato per impedire loro di prendere il potere. Chi invece ha vinto, e continua a vincere, è l’eterno vento del cambiamento che aleggia da vent’anni, gattopardescamente, in questo Paese. In principio fu la “rivoluzione liberale” di Silvio Berlusconi, poi venne il tempo di quella dei “fucili” dei leghisti innervata dal celodurismo di bossiana e maroniana memoria, quindi la rivoluzione virtuale a portata di clic dei grillini e infine quella modernizzatrice della sinistra di Matteo Renzi. La supercazzola politica del sindaco di Firenze, il Tony Blair de noantri, si risolve in un ammiccamento sostanziale alle posizioni di Confindustria e Marchionne su lavoro, stato sociale, scuola, e qualche benevola concessione sui temi dei diritti civili.

Non basterà la vittoria riportata ai gazebo per consacrarne l’ascesa, soprattutto se il governo non varasse una legge elettorale e, stante la sentenza della Consulta in caso di elezioni si ritornasse ad un proporzionale puro, che non lo favorirebbe. Non basterà perché in fondo la sua vittoria, soprattutto nelle contrade che una volta erano bastioni del vecchio PCI tanto da venir designare come “roccaforti rosse”, sembra più una punizione inflitta alla vecchia dirigenza, per la cecità colpevole di fronte al siderale distacco in atto da anni tra i cittadini, la politica e le istituzioni, che non un atto di fede nell’ex plurivincitore della “Ruota della fortuna”. Per archiviare Berlusconi, insomma, la sinistra propone una scoperta di Mike Bongiorno. Allegria!

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