On the road, dura la vita di chi caccia un film da un libro cult

Questo è un atto d’amore. Questo è un atto dovuto. Sì, okay, i film tratti da un libro (soprattutto quando il libro è così amato) devono per forza di cose subire il mezzo gaudio della denigrazione, che è così à la page, lo zelo delle lamentele perfettiste, fino ad arrivare alle critiche per la scelta del cast, chè in fondo Jack Kerouac in persona voleva Marlon Brando per interpretare Dean Moriarty, e non un qualunque Garrett Hedlund con la faccia pulita da discreto attore americano rimorchia-fiche, perché Dean Moriarty è la trasposizione letteraria di Neal Cassady, e Neal era un Brando a modo suo, e ci voleva quello sguardo da duro figlio di puttana e dio delle polveri, la camminata anni Cinquanta, e un certo modo di fumare le sigarette e guardare negli occhi una donna.

Di per certo c’è che Walter Salles i viaggi li sa raccontare, e sa anche che cos’è la strada, quando si apre dritta e curva davanti a te, e il cielo americano sopra la linea bianca, che si anima continuamente: dal Sudamerica dei Diari della motocicletta, fino al cuore dell’America del Nord, da Denver a Frisco, da New York al Midwest, e buttaci una spruzzata di Messico e avrai raccolto tutti i cieli d’America in pellicola, anche se in modo a volte un po’ pedante.

Del resto Salles aveva tra le mani una sceneggiatura già scritta alla perfezione, e per fare male con una storia così devi solo impegnarti: ovviamente andrai fuori dalle righe delle aspettative popolari, ovviamente farai un copia-incolla di parole qui e lì, però quello che importa è che almeno la trasposizione cinematografica cerchi di essere onesta, raccontare la verità. ‘’Ho visto le menti migliori della mia generazione’’, questo è proprio il racconto di una generazione intera: per nostra fortuna senza la censura di Hollywood, perché se Carlo Marx (cfr. Allen Ginsberg) aveva una relazione sessual-intellettuale con Dean Moriarty, Salles non la elimina dal racconto.

È quasi triste notare come si sia trasformata in mezzo secolo la parola hipster: quelli dei Cinquanta erano dei vitalisti che scrivevano sulla carta igienica e rubavano negli autogrill per sopravvivere e prendevano treni merce – come faceva pure il caro Jack London quando era un hobo di strada; di questi nuovi si sa solo che fanno a gara a chi spende di più nei negozi vintage.

Il fatto è che Jack Kerouac è uno dei padri spirituali di questa rivista, è uno di quelli abbastanza onesti da essere sopravvissuti alle parole. Perché riesce a trasmettere una sensazione che ci è cara: la fibrillazione del viaggio, la fatica e il sudore di stare sdraiati a riposare su un treno per noia, lo stupore di guardare un brancolo di sconosciuti che stanno facendo o dicendo qualcosa, che vivono le proprie vite proprio accanto a te, il pollice verso l’alto, le tasche vuote, l’orrore filosofico dell’e-domani-come-me-la-cavo?, ma troverò un modo; e il taccuino sempre dietro, la penna che annota i propri appunti disincantati, e l’andare verso le persone, perché questo è anche un viaggio che racconta le persone, i rapporti, l’umanità. E c’è una frase presa dai diari di Kerouac che riesce bene a tirare fuori dal cervello questa sensazione sui rapporti umani, “amare non è così necessario, davvero, quanto lo è instaurare dei rapporti profondi con le persone che contano veramente”.

E così se si riesce a sentire anche un terzo di queste sensazioni dentro la pellicola di Salles allora vuol dire che il film è riuscito. Se riesce a trasmetterti la verità sulle cose che contano realmente, cioè non i soldi o la pubblicità, non la fama ma la libertà dalle costrizioni morali e sociali, la libertà di essere uomini o donne in particolari momenti storici, la libertà della musica e della letteratura, dell’arte tutta in generale, se riesci a sentire questa particolare sensazione libertaria, allora il film sta venendo bene, ed è inutile lamentarsi di quanto Jack Kerouac sia stato un genio, e le sue parole fossero perfettamente meglio incastrate delle immagini di Salles. E di quanto manchino alcuni personaggi dentro il film: è ovvio che non tutti si troveranno lì dentro. Però c’è Carlo Marx, e c’è la madre cattolica di Kerouac, e c’è Marylou, e c’è l’amicizia fraterna che lega Dean e Sal. E c’è la strada, soprattutto, e la voglia di batterla.

Probabilmente, un giorno qualcun altro scriverà i sogni di questa generazione di persone che ci è più contemporanea, racconterà di nuovi personaggi magari altrettanto disincantati e pazzi, e la musica di sottofondo non sarà più il jazz ma quella di questo secolo; però posso dire quasi con certezza che non saranno gli hipster nuovo modello i protagonisti di questa nuova collezione di personaggi, ma le persone vere, perché è la sincerità/genuinità la qualità più importante. E questa è una delle cose che Jack Kerouac ci ha lasciato in eredità, pur non ponendosi come un maestro di vita: caccia la sincerità fuori dal tuo costato.

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