Outline | Nella trilogia di Rachel Cusk

La lettura della trilogia di Outline della scrittrice inglese Rachel Cusk ha la capacità di proiettare il lettore in una dimensione linguistica in cui si realizza, già dalle prime pagine, la superiorità della scrittura (e della bellissima traduzione italiana a cura di Anna Nadotti), tale è l’accuratezza delle parole, delle descrizioni e della rivoluzione che i tre romanzi mettono in atto. Resoconto, Outline nell’edizione inglese, Transiti e Onori, pubblicato nel 2020 (Einaudi in Italia) raccontano le conversazioni della protagonista, Faye, scrittrice e madre di due figli, spesso lontana da casa, immersa per metà nel mondo dell’editoria, che tanto bene conosce e interpreta, e per l’altra metà nel suo personale. La costante dei tre libri è che Faye ascolta con religiosa accuratezza i racconti di amici, semplici conoscenti e perfetti sconosciuti, diventando testimone silenziosa e discreta delle loro vite normali spesso a pezzi e, per questo, straordinarie. Il suo nome ricorre solo una volta per romanzo, non è importante perché fa parte di quella serie di dettagli che nella trilogia non hanno spazio né motivo di essere. Il punto focale sono le conversazioni e i racconti personali altrui che Faye raccoglie in ogni luogo, dalla Atene del primo romanzo alle ignote località europee in cui viaggia a spasso tra festival letterari. Solo nel secondo romanzo, Transiti, si fa spazio il personale di Faye, per la prima volta stanziale, coinvolta dalle operazioni di ristrutturazione della sua nuova casa a Londra. Tuttavia l’evento non le impedisce di incontrare e ascoltare una nuova categoria di personaggi, ma ugualmente profondi.

La trilogia di Outline è, di fatto, una nuova vetta nell’orizzonte letterario, come afferma il New York Times recensendo Onori, l’epilogo delle vicende di Faye. Si tratta di una terna di romanzi squisitamente filosofici che sovvertono le regole convenzionali della letteratura a cui siamo abituati. Cusk, fin da subito, stabilisce regole personali e inequivocabili: non ci sono personaggi principali, ma un coro di anime che si confessano; non c’è una trama, ma quella di Faye è antimateria narrativa, nelle parole del New Yorker, che stravolge struttura e linguaggio. Quella di Cusk è una destrutturazione del romanzo, una nuova letteratura che se ne infischia degli schemi e della critica. In un incontro di presentazione di Onori, Cusk afferma che il suo lavoro nella trilogia intera è quello di completo ribaltamento del concetto di romanzo in una mossa che, ammette, non è premeditata; l’idea stessa di costruire una intera trilogia è nata solo a fine stesura del primo romanzo, quando aveva preso forma la struttura ricorrente di dialogo e meditazione personale. Resoconto, Transiti e Onori intercettano la tendenza naturale della gente a raccontare e raccontarsi, nonché indagano sullo scopo ultimo della scrittura. Ne consegue che la parte fondamentale è la loro forma letteraria. Per questi motivi non c’è una trama da raccontare, se non un esile filo, Faye stessa, che collega i luoghi dei romanzi e i dialoghi. In Resoconto, Faye vola ad Atene per il suo workshop di scrittura creativa; in Transiti, come già menzionato, siamo a Londra, mentre, infine, in Onori incontriamo nuovamente Faye dopo un divorzio e un nuovo matrimonio, nel pieno del suo vagare lontana da casa. Questa è tutta la trama che si può dedurre dai romanzi. Si è detto che di fatto non succede nulla, ma la verità è che succede tutto e quello di cui si legge è una cascata di vite diverse, di riflessioni, sconfitte personali e piccoli traumi. Tra una storia di divorzio e amori travolgenti, Cusk scrive osservazioni enormi:

[…] eppure la condizione umana è così complessa che ogni volta elude i nostri tentativi di dominarla. Mentre combattiamo la guerra su un fronte, ha detto, su un altro scoppia il caos, e molti regimi sono giunti alla conclusione che la causa di tutti i problemi sia la personalità umana. (Onori, pag 84)

E ancora:

Negli ultimi tempi avevo riflettuto sul male […] e cominciavo a rendermi conto che non era frutto della volontà, ma del suo opposto, la resa. Rappresentava il disimpegno, la capitolazione dell’autodisciplina di fronte al desiderio. Era, in un certo senso, uno stato passionale. (Transiti, pag 148)

Cusk sfrutta, allora, quelli che percepiamo come dialoghi occasionali e li rende terreno fertile per parlare di etica, genitorialità, natura umana e, nello specifico, della sua pochezza e transitorietà. Il risultato è una trilogia di romanzi fortemente cerebrali che toccano picchi di vera e propria rarefazione dei pensieri, talvolta anche faticosi da seguire. Ma la capacità di Cusk è anche quella di tornare a Faye e al suo interlocutore con descrizioni minuziose, piccoli eventi e dettagli.

La critica si è interrogata sulle corrispondenze tra Cusk e il suo personaggio: entrambe scrittrici, divorziate, con due figli, quasi che si tratti di una operazione di “autofiction”, definizione che però la scrittrice rimanda al mittente. Faye non è una protagonista, ma un semplice veicolo di pensieri altrui. Parla poco, osserva molto, in maniera che tutto si concentri sull’unica l’urgenza di Cusk: la forma della narrazione. Capita, però, che qua e là Faye si trasformi in veicolo dei pensieri della scrittrice stessa. In Onori, Cusk le affida, per esempio, i temi caldi della sua riflessione femminista, soprattutto nel “riconoscimento di scrittrici e artiste”:

[…] non era detto che gli spettatori e le spettatrici avessero riflettuto sulla possibilità che le disuguaglianze che soffocavano la casa e il posto di lavoro condizionassero anche quello che veniva loro presentato come il mondo dell’arte […] ben poche donne avevano ottenuto un serio riconoscimento, o almeno non fino a quando avevano smesso di essere considerate un pericolo pubblico, essendo ormai vecchie o brutte o morte. (Onori, pag 148)

La digressione che segue è sull’artista Louise Bourgeois e la sua opera dedicata alla “storia privata del corpo femminile, la repressione, lo sfruttamento e la metamorfosi del corpo femminile, la sua spaventosa malleabilità come forma e la sua capacità di creare altre forme”. Rachel Cusk prende posizione, cita ancora Sylvia Plath e Joan Eardley e a proposito di quest’ultima scrive, infine:

Fu una vita priva di illusioni […] e a me sembra che per una donna sia tuttora impossibile vivere senza illusioni, perché il mondo semplicemente la toglierà di mezzo. (Onori, pag 154)

È come se, nonostante la rivoluzione della forma letteraria, Cusk si prenda comunque il suo spazio per informare il mondo dei temi nodali del femminismo, a suo avviso. Lo farà in tutti i romanzi anche a proposito della Brexit, dei problemi dell’editoria contemporanea e della genitorialità, sempre tramite una Faye sorniona e defilata. Nello specifico, a proposito dell’editoria e dei suoi meccanismi moderni fa dire ad un giovane direttore editoriale:

A volte, ha detto, si divertiva a pescare nei bassifondi di Internet, dove i lettori esprimevano le loro opinioni sui propri acquisti letterari più o meno come avrebbero potuto valutare i risultati di un detersivo. Ciò che aveva appreso […] era che il rispetto della letteratura era di facciata, e la gente non si faceva scrupolo a maltrattarla. (Onori, pag 36)

Rachel Cusk al Festival of Italian Literature in London. Foto: Martina Ciani

Discorso a parte, invece, sul fronte genitorialità, in cui Faye stessa mostra difficoltà e carenze solo apparenti. In tutti i romanzi è fisicamente distante dai due figli, che tuttavia la chiamano nei momenti di difficoltà anche quando è all’estero. Queste telefonate intervengono all’improvviso a spezzare conversazioni, sono un’ancora di realtà nel flusso di pensieri. Un espediente narrativo che consente di perdersi nelle storie e nelle valutazioni filosofiche, ma fino ad un certo punto, perché il giudizio del lettore torna temporaneamente su di lei e su questi figli moralmente irreprensibili, ma persi. Nell’ultimo dialogo il più piccolo le dice:

A volte mi sento come se stessi per cadere in un precipizio, e non ci sarà nulla e nessuno ad acchiapparmi. […] Mi sento così solo […] tutti si comportano come se io non ci fossi. (Onori, pag 179)

Piccole crisi personali che risolve sempre e solo a distanza, questo è il suo modo di essere madre nell’universo creato da Cusk. Faye, spettatrice mite e onnisciente, comprende e interpreta con lo stesso talento i suoi figli, i vicini arcigni, i compagni di posto in aereo, gli editor e i traduttori persi nel lavoro. E questo scambio di pensieri e soluzioni diventa, immancabilmente, riflessione universale. In questo si manifesta la sospensione di incredulità del lettore che preso dalla lettura giudica comunque plausibile un tale volume di storie e riflessioni in tre romanzi. Ma il punto non è questo, la trilogia di Outline non è fatta per essere giudicata nella sua plausibilità; semplicemente Cusk sceglie di inserire in tre romanzi brevi una quantità esorbitante di vita, ne è legittimata ed è proprio questa la rivoluzione letteraria che ha scelto e la sua ragion d’essere.

E dopo tutto questo cogitare letterario, Cusk sorprende con un finale di trilogia che lei stessa definisce “esplicito e primitivo”, che fa piombare nel romanzo il corpo e l’audacia in tutta la sua incontrollabilità. Disturba persino che un romanzo così controllato nella forma diventi sguaiato e greve, ma tutto rientra nella profonda libertà stilistica di Rachel Cusk. Questa la sua chiara presa di posizione nella letteratura moderna, al diavolo le regole altrui.

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