Palestina: la terra strozzata

Parlare della questione palestinese è cosa ardua, o meglio lo è parlarne in modo esaustivo. Abbiamo a che fare con una dura vicenda che ha avuto origine ufficialmente nel 1948; in realtà le basi per tale “inconveniente” politico, civile, umanitario sono state poste molti anni prima. Un problema secolare che ha per protagonisti persone annichilite da un conflitto che pare irrisolvibile e che difatti lo è, almeno finora. Attorno alla questione palestinese sembra ci sia una sorta di staticità per cui quando per caso qua e là si sente parlare di conflitto arabo-israeliano si semplifica dicendo: “che vuoi ormai sono anni che vanno avanti così, in fondo però quella è la “Terra Promessa” e le promesse, si sa, da che mondo è mondo si mantengono; che poi gli arabi tanto buoni non sono”. Affermazioni gravi tanto quanto l’ignoranza e la disinformazione che le generano.

Ma andiamo per ordine, innanzitutto è bene ricordare come non ci sono buoni e cattivi in senso assoluto: le popolazioni arabe si videro cacciate con violenza inaudita dalle loro case e si ritrovarono, allora come adesso, in una condizione di senza patria e senza diritti; la gran parte di queste persone subirono un destino atroce senza per questo lanciare una sola bomba- ergo non tutti gli arabi sono terroristi – continuando a difendere la propria identità con il cuore e molte volte con versi e splendidi romanzi. Il discorso vale anche per la popolazione ebraica, non per il governo israeliano invece. A questo punto verrebbe spontaneo chiedersi: che cosa sta accadendo da quelle parti adesso?

 

Nei telegiornali e sulle pagine delle grandi testate se ne parla poco e senza grosse spiegazioni, eppure qualcosa si è mosso, non in positivo ovviamente, dove per positivo si intende un pur minimo riconoscimento civile e umano della popolazione palestinese. Giusto per avere un’idea, solo negli ultimi mesi (non anni): rilascio di 26 prigionieri politici palestinesi (il secondo scaglione dei 104 palestinesi che il premier Netanyahu si è impegnato a scarcerare nell’ambito delle intese che a luglio scorso hanno portato alla ripresa dei negoziati israelo-palestinesi), peccato che in cambio si sarebbe proceduto alla costruzione nella parte est di Gerusalemme di altre 20.000 unità abitative per gli israeliani (colonie considerate illegali dagli stessi Stati Uniti), per fortuna pare che il progetto sia stato sospeso, più per tenere buona la comunità internazionale (impegnata nei negoziati con l’Iran) che per spirito di giustizia; uccisione di due giovani palestinesi; il governo israeliano annuncia la costruzione di una barriera di sicurezza tra Cisgiordania e Giordania, come se le colonie illegali lì presenti non fossero abbastanza; raid israeliano in Cisgiordania uccide giovane palestinese di 20 anni e altri spiacevoli avvenimenti. Ancora più raccapricciante la situazione della Striscia di Gaza, un lembo di terra pari a un immenso campo profughi, dove la popolazione vive isolata e ai limiti dell’umana decenza, una sorta di “questione di Gaza”.

 

Non basterebbe di certo un articolo per elencare quello che ormai quotidianamente accade in un territorio che non è poi così lontano, eppure per nulla o poco conosciuto. Forse, per restituire un briciolo d’identità politica e civile a chi ne è stato privato senza troppe remore, si potrebbe cominciare dal prendere coscienza di una realtà storico politica quanto mai attuale, laddove silenzio e ignoranza danno manforte e legittimità a chi perpetra ingiustizie da anni.

 

A descrivere in modo semplice ma incisivo la situazione di tanti palestinesi profughi e non solo è una poesia di Mahmoud Darwish, “Carta d’identità”:

 

Prendi nota, sono arabo,carta di identità numero 50.000,bambini otto, un altro nascerà l’estate prossima. Ti secca?Prendi nota, sono arabo, taglio pietre alla cava,spacco pietre per i miei figli, per il pane, i vestiti, i libri, solo per loro,non verrò mai a mendicare alla tua porta. Ti secca? Prendi nota, sono arabo, mi chiamo arabo non ho altro nome, sto fermo dove ogni altra cosa trema di rabbia,ho messo radici qui prima ancora degli ulivi e dei cedri,discendo da quelli che spingevano l’aratro, mio padre era povero contadino senza terra né titoli,la mia casa una capanna di sterco. Ti fa invidia? Prendi nota, sono arabo capelli neri, occhi scuri, segni particolari fame atavica, il mio cibo olio e origano quando c’è, ma ho imparato a cucinarmi anche i serpenti del deserto. Il mio indirizzo un villaggio non segnato sulla mappa con strade senza nome, senza luce, ma gli uomini della cava amano il comunismo. Prendi nota, sono arabo e comunista. Ti dà fastidio? Hai rubato le mie vigne e la terra che avevo da dissodare, non hai lasciato nulla per i miei figli soltanto i sassi e ho sentito che il tuo governo esproprierà anche i sassi, ebbene allora prendi nota che prima di tutto non odio nessuno e neppure rubo, ma quando mi affamano mangio la carne del mio oppressore, attento alla mia fame,attento alla mia rabbia.

 

 

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