Paolo Benvegnù – Earth Hotel

Lento e malinconico l’Earth Hotel di Paolo Benvegnù apre le porte a un’umanità piena di solitudini e camere vuote, difficile da raggiungere nel buio di questa lunga notte. Tre anni dopo la strada tracciata da Hermann si fa ancora più nostalgica, dal contatto perso con la pelle in una visione sempre più interiore e sempre meno luminosa. Se Hermann sapeva accendere quella magia del contatto, l’Earth Hotel, invece, racconta il lirismo dell’assenza, dei letti disfatti e abbandonati in una maniera forse troppo intellettuale per rendere davvero conto del vuoto che queste realtà creano dentro ogni persona. Benvegnù diventa così biografo del suo personale albergo in cui racchiudere un mondo silenzioso, come quello di Stefan Zweig e dei tanti personaggi raccolti dal caso nello stesso posto, senza una storia uniforme da narrare o qualcosa di particolare in comune se non quell’appartenenza indiscreta alla stessa razza.

Earth Hotel è un disco che conferma la grande attenzione di Benvegnù ai particolari, dai testi complicati quanto le ricercate armonie, che, spesso, peccano di intellettualismi alla ricerca di quel perfetto, e quanto mai fragile, equilibrio fra materia e forma, fra creazione artistica e il sentimento da cui scaturisce. Difficilmente raggiungibile per poter creare quel dinamismo e quella complicità che, naturalmente, dovrebbe instaurarsi fra musica e ascoltatore, tanto da apparire uno specchio che riflette soltanto il suo creatore mentre gli altri, attorno, ne rimangono esclusi. I dodici piani, così, risultano quasi insormontabili, poco immediati, immersi a galleggiare in quest’acqua immobile in cui non è possibile tuffarsi. Un panorama mozzafiato che però sembra sussistere di luce propria, quasi lontano dagli occhi di cui ha bisogno per poter essere apprezzato. Nella solitudine appunto, incapace di brillare se non per se stesso.

E c’è poco da fare in questo senso, Una nuova innocenza inganna l’ascoltatore che crede di trovare una linea di congiunzione con Hermann perché gli altri brani, invece, prendono tutt’altra direzione, verso quello che voleva, probabilmente, esprimere Benvegnù stesso. Una lontananza, costretta o volontaria, dal caos degli eventi (Avenida Silencio) e delle disparità (Nuovosonettomaoista), dalle storie personali (Orlando) e da quelle degli altri (Hannah). Così, nella loro perfezione, lasciano poco da raccogliere. Una solitaria notte senza coperte in un bellissimo hotel, in cui però, il freddo, lo senti lo stesso.

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