L’amaro sarcasmo di Parasite

Sembra quasi di respirare l’odore agrodolce delle grandi commedie all’italiana degli anni Sessanta mentre scorre sullo schermo questo capolavoro del grande regista coreano Bong Joon-Ho. Con i grandiosi film di casa nostra (in particolare quelli diretti da Dino Risi), Parasite condivide la volontà di mettere alla berlina le mostruosità e la disperazione decadente della civiltà miscelando l’impegno della tematica sociale con la sagacia e il sadismo di una narrazione grottesca e tragicomica. Fedele al suo titolo, il lavoro di Joo-Ho dipinge un manipolo di imbroglioni di ceto medio-basso che, seguendo le logiche della squallida furbizia parassitaria e dell’opportunismo, s’infiltrano all’interno di una famiglia agiata per poter gettare le basi di un’ascesa sociale al benessere.

Parasite è un’industria di intuizioni geniali senza tempo e universale nella sua acuta riflessione. Joon-Ho punta il dito contro le incoerenze e le dissoluzioni dettate dalla crisi, e compenetra con sarcastica intelligenza le barriere sociali per ricordare agli spettatori che, storicamente parlando, un’integrazione culturale tra ricchi e poveri non è mai stata possibile senza che una delle due classi non prevaricasse sull’altra. Il concetto era già stato affrontato con piglio dal regista nel bel film di fantascienza Snowpiercer, ma Parasite va anche oltre, evidenziando il tutto con raffinatezza formale ed esponendo senza troppi giri di parole quegli scomodi genitali che si cerca sempre di tenere ben coperti. Particolare attenzione viene riservata alla scenografia, parte integrante della metafora filmica, che sfrutta la gelidità delle abitazioni borghesi e la putrescenza dei bassifondi per marcare ancora di più una rivalità tragica e sanguigna.

Parasite è una pellicola dotata di un’importanza artistica e politica a 360° e di una capacità di sconvolgere le convenzioni tale da poter essere accostata tranquillamente alle opere di maestri come Marco Ferreri e Pasolini, per restare sempre all’interno del panorama italiano, o Bunuel e, addirittura, Brian Yuzna. Il racconto crudo e complesso dell’odierna condizione umana inquieta e filtra le sue sottotracce su prevaricazione e violenza discriminatoria attraverso satira, dramma e implicazioni horror, e non fa sconti o prigionieri: le illusioni dei poveri si infrangono senza pietà, mentre le convinzioni dei ricchi, costruite su marce fondamenta di bugie, sono destinate a loro volta a crollare.

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