Parcels – Parcels

Immaginate di svegliarvi domattina nel vostro solito letto, nella vostra solita stanza ma guardandovi attorno la luce che filtra tra i buchi delle tapparelle vi sveli una parete agghindata con poster dei Goonies e dei Duran Duran, mentre una voce radiofonica dall’altra stanza rivela sconvolta che uno scandalo sta mettendo in serio dubbio la moralità del Presidente Nixon e dalla strada una macchina pompi a tutto volume un pezzo di Kanye West.

Lo smarrimento piacevole dato dall’essere finito in una sorta di pot-pourri temporale in cui tutto sembra convivere in un unico istante e in cui si possono rivivere i cult del passato e del presente assieme con attesa e coinvolgimento è quello che ci pervade ascoltando l’album di debutto dei Parcels.

La band composta da cinque australiani di stanza nella sempre vivace Berlino, dopo una serie di EP convincenti e singoli trascinanti, ha finalmente pubblicato il primo lavoro in studio intitolato proprio come il gruppo, Parcels. I singoli avevano convinto con il loro piglio fresco e danzereccio da happy hour sul bagnasciuga, al punto da riuscire a suonare al festival di Glastonbury e come ospiti in varie trasmissioni televisive inglesi e statunitensi.

A rendere possibile questo hype nei confronti di una band prima ancora che venisse pubblicato qualcosa di organico è stato senza alcun dubbio un endorsement molto importante da parte dei Re Mida della disco-pop made in France, i Daft Punk. Il duo col casco in testa ha prodotto nel 2017 il singolo della band Overnight, incoronando i cinque ragazzi a progetto per cui tenere tese le antenne. Con o senza appoggio dei Daft Punk, i Parcels hanno preso a piene mani ispirazione dai francesi a livello di sonorità e stile, in particolar modo studiando con una evidente dedizione il loro Random Access Memory.

Il tributo pagato ai Daft Punk emerge chiaro da brani come Everyroad, in cui sonorità anni ’70 vengono rimaneggiate in salsa elettronica producendo uno sfasamento temporale interessante e gradevole. La voce calda che narra, anziché cantare, e che molto ricorda quella del nostro Giovanni Giorgio che tutti chiamano Giorgio, si mescola bene alle chitarre leggerissime e alle tastiere in perenne crescendo nel lunghissimo pezzo che ha, tra i meriti, quello di creare delle interessanti dinamiche grazie alle alternanze tra gli strumenti e al basso elettrico che rivela tutta la sua capacità di tenere su il brano soprattutto quando tace e lascia spazio agli altri.

Il singolo di apertura, Comedown, risalta le potenzialità canore del gruppo che si prodiga in un coro figlio delle band canore degli anni ’70 e ’80 à la Beach Boys in una maniera così convincente da sembrare davvero fuoriuscita da un altro tempo, come se i nostri musicisti fossero appena stati scongelati da un processo criogenico. Le atmosfere old school si mescolano a intermezzi musicali quasi arcade, da videogame in sala giochi, con picchi tonali e ritorni in loop. Lo stesso potenziale canoro emerge in Bemyself alzandosi da atmosfere hawaiane da chitarra sulla spiaggia.

Ciò che rende interessante lo stile dei Parcels sta proprio in questo continua andirivieni temporale che produce il grandissimo paradosso di avere nella cesta pezzi di una freschezza estrema mentre la canna da pesca è immersa nel mare del passato. L’elettronica si fonde con lo strumentale, il pop degli anni ’60 si fonde con la disco cotonata degli eighties fusi e messi a sedere allo stesso tavolo grazie alla classe del rimaneggiamento e rimodernamento dei pezzi imparato dai Daft Punk.

La chitarra impera nelle melodie dei brani, convulsa e incendiaria sulla scorta dell’insegnamento di Nile Rodgers: pennate brevi e continue che dettano la melodia e mostrano da subito come son loro a decidere se quel pezzo devi ballarlo o meno. Come capita in Lightenup (traccia dal titolo senza spazi come tutte quelle che compongono il disco) in cui sembra davvero di sentire la eco degli Chic impreziosita dal flauto che sovrasta il ritmo nell’outro del brano.

Ma la macchina del tempo non si ferma un attimo e basta saltare un brano per venire catapultati in uno di quei college che tanto ha dato alla cinematografia statunitense degli anni ’80. Sintetizzatori e falsetto alla Hall and Oates la fanno da padrone in Withorwithoutyou, un brano che profuma di giardini e di palle da football che compiono i loro spin da distanze siderali.

Uno dei pezzi più interessanti dell’album è Tape in cui la combinazione di vecchio e nuovo porta alla composizione di una melodia a metà tra i sussurri dei Kings of Convenience e i ritmi frenetici del Robert Palmer di Johnny and Mary. Anni ’80 e anni ’00 convivono perfettamente mescolati e shakerati nel cocktail decorato che i ragazzi dell’altra parte del mondo ci servono.

I Parcels ci invitano a un viaggio, ci assicurano con i primi pezzi che sarà divertentissimo. Sta a noi decidere di accettare o meno di salire sulla DeLorean guidata dai giovani australiani.

La capacità dei Parcels di fare proprio lo spirito del passato e quella tendenza a trovare la quadratura del cerchio tra discodance e voglia di far innamorare che ha dominato la scena musicale e la pista da ballo in passato emerge spesso nel disco (Youfault), complice il reparto canoro e la loro abilità di tenere assieme tutti gli aspetti attraverso cui il pop ha definito ciascuna decade. Tutte le firme dei gruppi più famosi di ogni era trovano spazio tra le note dei Parcels, dai Fleetwood Mac ai Kool and the Gang.

Parcels è un album freschissimo e allegro che fa piacere ascoltare e si pone come catalogo illustrato del pop e come bellissima novità musicale di questo 2018.

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