Passaggio in ombra, Mariateresa Di Lascia

Hanno cercato di convincermi in molti a lasciare questa casa, perché è piccola e affogata e, quando mi viene l’asma, rischio sempre di morire davanti alla finestra aperta, ma io non dò ascolto a nessuno, e penso che è inutile preoccuparsi di ogni cosa: la morte verrà quando verrà e nessuno ci potrà fare niente. Mi porteranno via, per queste strette scale dei palazzi moderni, e avranno un gran da fare per svuotare tutto il ciarpame che è stato la mia vita.

A parlare è Chiara D’Auria, protagonista e voce narrante di “Passaggio in ombra” di Mariateresa Di Lascia, romanzo vincitore del Premio Strega del 1995. Di Lascia, pugliese di Rocchetta Sant’Antonio, in provincia di Foggia, esordiva nel romanzo con un caso letterario che aveva venduto ad agosto 1995, l’anno dell’uscita, già 200.000 copie. Una vita da politica e attivista per il Partito Radicale la sua, l’ONG “Nessuno tocchi Caino” che fonda col marito Sergio D’Elia nel ’93, ma poi Di Lascia sperimenta ed esplode, da outsider degli ambienti letterari, con questo romanzo intimo e malinconico. A ritirare il premio Strega, quella sera del 7 luglio ’95, la scrittrice non c’è. Al suo posto Inge Feltrinelli, l’editore, e il marito Sergio D’Elia; sarà lui, su quel palco, a sottolineare la profonda ingiustizia del destino: Mariateresa è mancata un anno prima per un male incurabile.

“Passaggio in ombra” è la storia di una donna e della sua famiglia in un luogo indefinito dell’assolato Meridione nel secondo dopoguerra. Il romanzo inizia coi ricordi di una Chiara adulta e sconfitta, e su questi mette le radici per ricostruire la storia familiare dei D’Auria, il ramo paterno, e le loro dinamiche relazionali soffocanti e maledette. Quello di Di Lascia è un romanzo costruito sull’alternanza tra ricordi e un cupo presente narrativo. Fin dall’incipit è ben chiaro il senso di fine e un’infelicità costante che possiede la protagonista persino durante il sonno, in una casa di famiglia dalle stanze «ammuffite». Luce e ombra si contrappongono fin dai primi dettagli, basta fare caso al nome della protagonista contrapposto all’ombra del titolo che pervade il presente, o al nome delle due parti in cui il romanzo è suddiviso: “L’audacia” e “Il silenzio”. In una trasmissione di Radio Tre, “Vite che non sono la tua”, lo scrittore Angelo Ferracuti l’ha definito «solitario come un’autobiografia, corale come una saga famigliare». La famiglia è quella dei già citati D’Auria, stirpe da cui discende il padre di Chiara, Francesco; le figure centrali sono, però, le donne, due su tutte: Anita, la madre, e donna Peppina Curatore, la zia del padre. La prima amatissima, una vita in simbiosi fino alla sua morte, la seconda che la prende in custodia spinta dall’ambizione e le manie megalomani della famiglia da cui proviene. E in questo dominio femminile, il padre scomparirà velocemente, schiacciato dal peso delle sue stesse inadeguatezze.

Mariateresa Di Lascia

Le protagoniste e il loro ricordo

Il romanzo si apre con un presente narrativo in cui Chiara, oramai adulta, asmatica e cieca da un occhio, si aggira, «pigra e impolverata», nella casa che le è stata donata dalla zia, troppo grande per lei e sepolta di oggetti. Nella sua testa e nelle stanze, rimbombano gli echi della grandezza presagita mai avveratasi. Protetta fino alla negazione della realtà dalla zia facoltosa, Chiara non raggiungerà mai nessun obiettivo e la sua vita si spezza in adolescenza per un preciso evento traumatico. Non lavorerà mai un giorno e, nascosta nella casa, dice: « […] travestita così, senza età e senza sesso, finalmente me ne rido del mondo». Ma non è una beffa la sua, piuttosto un senso di libertà dopo una rinuncia lunga e ponderata alla vita. Chiara s’incrina per una felicità sfuggita, anzi sottratta a lei dalla famiglia paterna – la madre è già deceduta al momento del trauma-, e per questo diniego le scappa di mano il futuro, come scrive Di Lascia, e si spegne così, inconcludente. Quello che rimane di rassicurante è il passato in quanto «luogo sicuro, già compiuto». Ed è in questo luogo che Chiara si ferma per sempre, cristallizzata da dolore e incuria.

Un romanzo corale retto nella struttura e nelle emozioni da Anita, donna Peppina Curatore e in parte anche dalla zia Giuppina, tre donne profondamente diverse che concorrono, in egual misura, nella sconfitta di Chiara. Anita rimarrà solida solo fino all’ennesimo tradimento di Francesco, cosa che funesterà il resto della sua esistenza. Donna Peppina Curatore, invece, sarà figura maestosa fino alla fine, capace di «plasmare la realtà sul proprio desiderio», tali sono le manie di grandezza e l’altezza delle sue aspettative su famiglia e nipote. La sottrae ad Anita e poi, anche da morta, invade la memoria di Chiara, che ne sottolinea in ogni momento la «megalomania visionaria». Assieme a Chiara, è donna Peppina il personaggio migliore, una donna radicata nel Sud magico e cattivo del romanzo, donna non madre, punto fondamentale della sua caratterizzazione, che anticipa, per perfidia e slanci d’affetto soffocanti, la zia Vittoria de “La vita bugiarda degli adulti”, l’ultimo romanzo di Elena Ferrante. C’è terreno comune tra le due autrici, a partire dalla maternità maligna di “Passaggio in ombra” e presente in molte opere di Ferrante; maligna perché faticosa e totalizzante, anche quando è mancata.

Gli uomini in “Passaggio in ombra” sono assenti e inadeguati, senza eccezioni. Lo si vede, con grande forza, soprattutto, in Francesco, il padre, «furioso e indifferente» e cresciuto in un «deserto sentimentale». È lui il portatore del «sangue fatale dei D’Auria», il colpevole della follia che maledice Chiara e la perseguita per tutta la vita. Di Francesco, Di Lascia scrive:

[…] viveva in maniera confusa, mentre un destino fortunoso lo braccava, impedendogli di lasciarsi andare alla deriva come avrebbe voluto e ributtandolo nella vita un attimo prima della fine.

Questa stessa deriva affligge anche Chiara, nonostante gli argini di donna Peppina, che fino alla fine le darà una casa, una pensione d’invalidità e una fiducia cieca che si spegnerà solo davanti al crollo definitivo della pronipote. Non c’è salvezza dalla maledizione dei D’Auria, e forse l’unico a saperlo sin da subito è Tripoli, il nonno, padre di Francesco, burbero e sgradevole.

Francesco è un padre che scompare e poi ritorna deciso a costruire un rapporto con la figlia, ma il destino cinico dei D’Auria lo tradirà di nuovo, le ingiustizie lo fiaccheranno, e non ci sarà soluzione se non diventare fedifrago. Anche in questo c’è un territorio comune con gli uomini di Ferrante e un filo sottile collega Francesco D’Auria a Nino Sarratore.

Foto di Alessia Ragno

Il Meridione

In una recensione del marzo 1995, Goffredo Fofi definì “Passaggio in ombra” un «ritratto di società meridionale» perché questo è un romanzo sul Meridione e in esso è radicato fortemente, anche se non viene citato mai nessun luogo. Ma il paese «schiacciato come un nero rospo sulla collina» è proprio Rocchetta Sant’Antonio, incastonato nella terra di confine che unisce Puglia, Campania e Basilicata. Un territorio aspro, brullo, di agricoltura e allevamento, un luogo magico in una Puglia matrigna che ha un fuoco dentro che ammalia, ma che si rivela cattivo e traditore, come le fiamme che d’estate accendono i campi gialli e quando li ha consumati li colora di nero come la pece. Il Meridione narrato da “Passaggio in ombra” è intriso di pregiudizi e tradizioni talmente radicate da diventare credenze religiose. Un Sud soffocato da maldicenze, cattivi pensieri, figli nascosti e famiglie disfunzionali mantenute solo per una “facciata novecentesca”.

A distanza di quasi trent’anni non è facile ricostruire il rapporto personale di Mariateresa Di Lascia con la sua terra natale, in alcuni documenti si riporta una mal tolleranza reciproca; «non amava Rocchetta e Rocchetta non amava lei», c’è scritto in un articolo di Repubblica del 1995, poco dopo la vittoria dello Strega, ma quello che rimane, e che è importante, è un romanzo che ha saputo raccontare chi siamo stati qui non solo in Puglia, ma in tutto il Sud, romanzo che concorre nel rintracciare i semi di un divario col Nord che non si rimargina mai.

“Qua non è permesso a nessuno di essere meglio degli altri…Al Nord no! Al Nord è un’altra cosa: là se sei capace ti sostengono, ti fanno studiare, ti mandano in America! Qua se provi a tirare la testa fuori dal sacco se finito…Zac,” fece un gesto con il braccio come fosse una mannaia, “qua ti tagliano la testa!”

Struttura e scrittura

La scrittura di Di Lascia è stata definita chiara e precisa, ma ha una complessità e ricchezza eccezionale nella parte introspettiva, in quell’analisi intima che Chiara fa di sé scavando nella carne fino a non ritrovare più niente, solo i ricordi. E questi ricordi sono la materia con cui è fatta la struttura portante del romanzo. Definiscono i personaggi, tengono insieme la trama del passato e del presente narrativo, contribuiscono a creare l’atmosfera nostalgica e addolorata. L’equilibrio tra il passato e il doloroso presente di Chiara è quasi perfetto.

I rimandi già evidenziati con Ferrante, che esordiva nel 1992, quindi contemporanea alla produzione di Di Lascia, aprono le porte per altre chiare ispirazioni della scrittura della scrittrice pugliese. C’è l’eco dell’altra contemporanea, Fabrizia Ramondino, di Anna Maria Ortese e di Elsa Morante. Quest’ultima, in particolare, rappresenta il paragone più proposito dalla critica, soprattutto nei paralleli tra “Passaggio in ombra” e “Menzogna e sortilegio”.

Dell’iniziale accostamento a “Il Gattopardo”, invece, non rimane che un eco lontano, resti di una vecchia campagna promozionale per il Premio Strega che aveva fatto storcere il naso al mondo editoriale italiano.

Paesaggi pugliesi. Foto di Davide Roppo da Pixabay

Lo Strega, le critiche e le recensioni dell’epoca

Mariateresa Di Lascia vince il premio Strega nel luglio 1995, quasi a un anno dalla sua scomparsa. Il 10 settembre del 1995, la sua Rocchetta Sant’Antonio la festeggia in piazza e quello spaccato di vita prestigiosa di paese si può ancora vedere in un “antico” video di YouTube. C’è il sindaco di allora, ci sono gli amici di infanzia e di giovinezza, c’è la giornalista e scrittrice Adele Cambria che conduce la serata e pronuncia una frase importante su tutte pronunciata su quel palco: Mariateresa Di Lascia «ha tenuto nella pancia tutto il Sud», lei che aveva scelto Napoli come casa, ma che a Rocchetta sarà sempre legata. E sul finire di quel video sgranato e sbiadito dal tempo Cambria aggiunge: «Il Sud le è stato dentro come una passione e una malattia».

All’epoca la cinquina era costituita da Luca Canali, Elisabetta Rasy, Marisa Volpi, Mariateresa Di Lascia e Luigi Malerba. Di Lascia superò per cinquanta voti il secondo, Malerba, in una vittoria che le cronache dell’epoca definirono “contestata”, ma in suo favore si erano già espressi Fofi, Raffaele La Capria, con una recensione sul Corriere della sera, e Antonio Tabucchi, suo padrino allo Strega.

La genesi del romanzo fu altrettanto tribolata: quattro anni di lavoro e uno storico rifiuto di Adelphi, con Pontiggia che lo ritenne non pronto per la pubblicazione. Articoli dell’epoca riportano una frase eccezionale a riguardo, con Di Lascia che pare definì Pontiggia “invidioso” dopo il rifiuto. Dopo un lavoro di editing, Di Lascia approda a Feltrinelli, da Gabriella D’Ina che ne forgiò il successo anche grazie all’accostamento, azzardato secondo la stessa Di Lascia, col “Gattopardo”. Coincidenza vuole che anche lo Strega di Tomasi Di Lampedusa fu postumo. Di Lascia muore dopo aver firmato il contratto con Feltrinelli, lei che aveva scritto all’amico Sofri: «Ho scritto questo romanzo per essere amata da chi mi leggerà».

L’eredità di scrittrice

Di Mariateresa Di Lascia ci rimane, oltre all’enorme eredità politica, “Passaggio in ombra”, un racconto, “Compleanno”, vincitore del premio Mille Lire nel 1992, un romanzo incompleto, “Le relazioni sentimentali”, e articoli e lettere raccolti in un volume a cura delle Edizioni Dell’Asino, “Un vuoto dove passa ogni cosa”.

Quello che, però, “Passaggio in ombra” costituisce per la letteratura italiana è la testimonianza preziosa di un’autrice che aveva saputo narrare la vita perduta di una donna in un ritratto storico, sociale e di costume eccezionale. Con il suo unico romanzo, Di Lascia apre spiragli sulla condizione femminile del secondo dopoguerra, ma che riflette anche quella durata fino agli anni ’60 in un Meridione sempre in ritardo. La sua è una lunga riflessione sulla struttura familiare e la rovina che genera. Nelle famiglie di “Passaggio in ombra” l’amore è una condanna, come è dotata di sfumature problematiche anche la maternità. E il finale sospeso è il sigillo che certifica l’altissima qualità del romanzo: quei due “forse” quasi consecutivi confermano il totale abbandono delle speranze che Chiara sente di meritare. E quello è il suo compimento.


Approfondimenti e altre fonti
La notizia della vittoria su Il mattino di Foggia, 7 luglio 1995
Racconto di Passaggio in ombra a cura della Biblioteca Lazzerini di Prato 
Celebrazione della vittoria del Premio Strega a Rocchetta Sant’Antonio, 10 settembre del 1995
La docente dell’Università di Bari Lea Durante su Passaggio in ombra 
Mariateresa Di Lascia. Da “Passaggio in ombra” a “Compleanno” di Francesco Giuliani disponibile su Academia.edu
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