Perchè l’ansia di rivolta libica mette un’ansia di rivolta italiana

Una delle peggiori conseguenze di vivere in un paese che ha come premier Silvio Berlusconi è quella di rischiare di diventare provinciali, di reagire con indifferenza a tutto quello che succede nel mondo perché oscurati dalle mutande di mr B. Peggio ancora va quando ci annichiliamo, e pigramente giudichiamo gli eventi in base alle nostre simpatie o antipatie per il signorotto di Arcore. Sta succedendo con la Libia. Vale la pena di ricordare tutti gli uomini che si sono abbassati i calzoni di fronte a Gheddafi per interesse in questi decenni, da Craxi a D’alema l’elenco è lungo e poco interessante, e sarebbe pure banale aggiungere che se vi sentivate assolti siete lo stesso coinvolti.  Siete coinvolti perché usate l’energia che spetterebbe alla Libia, perché è stato bello stringere la mano a Gheddafi per anni, anche dentro le sue tende beduine, è stata bella la caccia al petrolio, è stato bello liberarsi di Enrico Mattei per addomesticare l’Eni. Ed è stato bello il Trattato d’amicizia bilaterale (votato in Parlamento) con cui noi versiamo 5 miliardi in 20 anni alla Libia per risarcirla del colonialismo (se il Regno Unito avesse avuto un’idea del genere la regina avrebbe dovuto vendere la corona) in cambio del controllo dell’immigrazione a manetta verso l’Italia. Paghiamo Gheddafi per far restare i libici in Libia, e sappiamo anche come riesce nell’obiettivo. Nel silenzio generale di questi anni Gheddafi è diventato azionista di Unicredit, della Juventus, del fido Eni, della Fiat, di Finmeccanica. Intanto l’Italia importava un quarto del petrolio dalla Libia.

Quello che sta succedendo insomma vi riguarda più di quanto si dica o si lasci intendere: se anche rimanete insensibili ai più di 10000 morti ammazzati dai soldati mercenari e dai bombardamenti a tappeto del Colonnello, se anche non riuscite a restare scossi dalla morte lontana, se reagite con indifferenza a un popolo lasciato solo a se stesso e alle bombe, allora pensate almeno a tutte le ripercussioni che vi attendono. Pensate a quanto è vicina geograficamente la Libia, a quanto è folle un uomo che chiama ‘’ratti drogati’’ la sua gente, a quanto è invasato e capace di tutto, di rivalsa, di vendetta, di odio. Un uomo che bombarda il suo popolo è sicuramente capace di bombardare gli ex amici di bunga bunga, del resto è già successo nel 1986 a Lampedusa. Siamo ammanicati, strinti al colletto da un dittatorello che è salito al potere con un colpo di stato. E stiamo a guardare i sogni disperati della gente che vuole liberarsi di un capetto a costo della vita. Stiamo a guardare questi sogni con l’ossessione di Berlusconi in petto che ci stringe la gola. Facendo finta di non sapere che noi l’opportunità di toglierlo di mezzo (il nostro mr B) ce l’abbiamo avuta mille volte, potevamo non votarlo, potevamo invocare una sinistra che gestisse il conflitto di interesse, potevamo convincere le persone che non è questo il paese in cui sognavamo di crescere, che volevamo un paese con le palle, capace di dire che Gheddafi è un dittatore, che 10000 morti sono  un genocidio. Se non lo facciamo è perché in fondo siamo indifferenti. È vero, ci indigniamo, facciamo presidi per la Libia con Marco Pannella come se li facessimo per il Tibet, tanto siamo sicuri che non ci succede niente ad alzare un cartello ”free Libia” a Roma. Poi andiamo a prelevare in Unicredit per fare il pieno di benzina. Ma non è immorale. Immorale è non sentire quest’ansia di rivolta.

[divider]

Appendice, part II

Nel settembre 2009 la prima Giornata dell’amicizia tra il popolo italiano e il popolo libico fu suggellata da un regalo di Silvio Berlusconi all’amico Mu’ammar Gheddafi, un treno Ic4 (c’è chi regala cravatte e chi intercity). L’Ic4 doveva finire in Danimarca, ma Berlusconi seppe come dirottarlo a Tripoli, del resto la AnsaldoBreda (azienda produttrice dell’Ic4) nel 2009 aveva vinto una commessa da 541 milioni di euro in Libia, pace all’anima di chi si faceva scrupoli. In fondo gli scrupoli su certe cose non se li è mai fatti nessuno.
La scorsa estate Gheddafi ha ricambiato la visita di Silvio ed è volato a Roma (con la fida tenda in cui dorme quando si sposta) per tenere una lezione sull’Islam a circa un 500 hostess reclutate ovviamente a 70 euro l’una (il governo Berlusconi paga tutto, dalle puttane alle hostess, dalle amicizie al consenso, state buoni e frusciatevi col denaro). ‘’L’Islam dovrebbe diventare la religione di tutta l’Europa’’, disse col plauso della platea nel silenzio generale italiano (forse Berlusconi e il suo ‘popolo di libertà’, che in questi giorni si fanno paladini del cattolicesimo militante, hanno rimosso il particolare di aver permesso a un dittatore libico di tenere un convegno di conversione all’Islam). Si disse allora che era un convegno di folklore, e che tutto questo era conveniente per l’Italia, perché ‘’le commesse che il governo ha concordato con i libici hanno aiutato le imprese italiane a fronteggiare la crisi’’ – realpolitik. La crisi, si dice. E poi c’è la questione clandestini, se quello s’incazza iniziano gli sbarchi. Aggrappati alle palle di come si sveglia la mattina un pazzo, lo assecondiamo, come si faceva nei peggiori tempi del secolo scorso.
I compromessi e i silenzi ci hanno ammazzato. Da queste parti non arriverà la rivolta perché stiamo meglio di chi sta peggio, o nell’illusione del meglio. C’è la crisi, dicono, adeguatevi – sottostate ai compromessi perché c’è la crisi, per campare meglio vendetevi, prostituitevi, rendete onore alla Libia, offuscatevi il cervello, e ringraziate dio o chi per lui.
Exit mobile version