Perfume Genius – Too Bright

Il 23 settembre scorso la Matador Records ha ufficialmente presentato Too Bright, il terzo album di Mike Hadreas, meglio conosciuto come Perfume Genius. Il titolo e l’artwork svelano subito l’intenzione di muoversi fuori dagli schemi, se non di un preciso genere, almeno dell’artista in questione. Ma chi è Perfume Genius? Definirne lo stile non è semplice, forse perché si presenta come un vero e proprio patchwork di sonorità. Prestando attenzione alla composizione dei suoi brani e alle sue particolari costruzioni vocali si riconoscono, infatti, i tratti di volti piuttosto noti.

‘I Decline’, malinconico e timido incontro di voce e pianoforte in apertura del disco, ricorda moltissimo la fragilità di Jónsi solista in ‘Tornado’ e, in un certo senso, la delicatezza di Imogean Heap nella celebre ‘Hide and Seek’.

‘Queen’, di un pop non troppo distante da quello del ben più commerciale Mika, è forse il pezzo che mantiene più di ogni altro il tono provocante del disco: Too Bright, troppo luminoso, al punto da disturbare o addirittura spaventare. Perfume Genius racconta, in una delle sue interviste, degli sguardi terrorizzati che si è abituato a ricevere in certi contesti, vittima della pochezza di chi non riesce a concepire le diversità sessuali. È dato certo, infatti, che l’omosessualità di Mike Hadreas e tutte le difficoltà che ne derivano (non prendiamoci in giro: siamo quasi nel 2015 e sappiamo tutti che è un argomento, nonostante tutto, ancora tabù per moltissime persone) costituiscano il motore centrale della sua musica. Ma lui prende quella che a qualcuno potrebbe apparire una debolezza o un difetto e ne fa la sua arma: «No family is safe when I sashay», minaccia nel ritornello di ‘Queen’.

Segue ‘Fool’, brano che attraversa ampie distanze spazio-temporali, passando da un ritmato pop anni ’80 a vocals vibrati alla Sigur Rós, con un alternarsi e incontrarsi di piano e sintetizzatore.

‘My Body’ è una delle canzoni più intriganti. I suoni bassi, il ritmo pressante, le esplosioni di synth che ricordano le frequenze dei The Knife e ancor più di Fever Ray si uniscono a un cantato che raggiunge picchi di falsetto inquietante e well-matched con il testo, direttamente affacciato sui luoghi più oscuri del mondo interiore di Perfume Genius: «I wear my body / Like a rotten peach / You can have it / If you handle the stink».

La sofferta prigionia in un corpo sbagliato viene raccontata ancora nella splendida ‘Don’t Let Them In’, elegante, delicata, reminescente di un tempo passato e indefinito: «Don’t let them in / I am too tired / To hold myself carefully / And winkle when they circle the fact / That I’m trapped in this body».

Vale la pena concentrarsi su ‘Grid’, che riprende le parole del brano di apertura e le inserisce in uno schema ritmico differente. Veloce, energica, confusa, disegna un’atmosfera alla ‘Una notte sul monte calvo’ di Musorgskij – tassativamente associata alle immagini di Fantasia della Disney – dove lo scontrarsi di voci squillanti e di urla banshee ricorda incredibilmente lo sperimentalismo artistico di Diamanda Galas, conterranea di Hadreas (sono entrambi di origini greche), e in un certo senso la forza ruvida di Björk.

Densa e buia è la dimensione di ‘I am a mother’: la voce sottile, ovattata e spezzata è come un richiamo tenebroso che ricorda il ‘Doppelgänger’ dei The Antlers e si intreccia con il tessuto musicale e vocale dei Portishead (forse c’è lo zampino di Adrian Utley, che ha collaborato alla produzione del release) e di David Lynch (si veda soprattutto Crazy Clown Time).

A chiudere l’album è il lirismo di ‘Too Bright’ e ‘All Along’, commoventi, sognanti, intimistiche canzoni che ancora una volta riportano alla mente la dolcezza del cantato di Jónsi e la profonda malinconia della musica di Soap&Skin, questa volta lasciando trasparire con maggiore chiarezza il timbro di Perfume Genius, fino a questo momento, a mio avviso, quasi irriconoscibile.

«Deep down I never did feel right / Even now / Sometimes that feeling’s a lie / You wasted my time […] I don’t need your love / I don’t need you to understand / I need you to listen» è la sua ultima richiesta.

C’è da dire che l’estetica generale della musica di Mike Hadreas deriva senza dubbio dall’opera integrale di PJ Harvey – da Dry (1992) a Uh Uh Her (2004) fino a Let England Shake (2011) – a cui lui stesso ha dichiarato di ispirarsi moltissimo.

Too Bright è una provocazione, mi sembra evidente, e la sua forza risiede proprio nel fatto di presentarsi come qualcosa di più di una registrazione. È il risultato di un’esperienza intima e reale, consegnata direttamente alle orecchie di chi ne condivida o ne ignori il sentire. Concettualmente è un disco molto coraggioso ed è probabile che la sfacciataggine sia ciò che lo caratterizza: è un grido di sfida poeticamente costruito su testi vivaci, raffinati, significativi e diretti. Il grande difetto di Perfume Genius, tuttavia, è l’assenza di una cifra stilistica che lo renda davvero inconfondibile. Se riuscire a far confluire nella propria musica qualcosa di tanti grandi artisti è da una parte lodevole in quanto sintomo di curiosità professionale e capacità di sintesi in tal senso, dall’altra non può che privare il suo lavoro di una chiara identità.

Ci si augura che nel tempo Hadreas, che ha esordito solo nel 2008 incontrando subito il favore della critica, riesca a trovare l’ingrediente mancante per proporre una miscela nuova e, finalmente, solo sua.

 

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