PROMISED LAND – c’era una volta la terra promessa…oggi simbolo della degenerazione sociale

Promised Land è un film che per comodità critica può essere definito “civile”. Scritto da Matt Damon insieme ad un altro attore, John Krasinski, è un lavoro di denuncia sullo sfruttamento delle risorse energetiche in modo “sporco”, con manipolazioni e rischi per la salute delle persone. La storia racconta di Steve, un abile agente di vendita della Global Gas che, accompagnato dalla collega Sue, viene mandato in una cittadina rurale della Pennsylvania per acquistare dagli abitanti del luogo il diritto di estrarre gas dalle loro proprietà.

Niente di più semplice dato che la cittadina, come buona parte delle zone contadine americane, è in preda ad una profonda crisi economica e non è immaginabile pensare che qualcuno sia pronto a rifiutare un contratto che promette ricchezza sicura. Ma naturalmente l’imprevisto arriva quando in città qualcuno avanza il sospetto sulla pericolosità del cosiddetto “fracking”, il metodo di scavo del gas attraverso il supporto di sostanze chimiche che potrebbero inquinare le falde acquifere e il terreno provocando di conseguenza malattie nella popolazione e nel bestiame. I dubbi crescono nella comunità contadina e il contatto con la gente del posto e la strana evoluzione che prende la storia portano Steve ad una crisi di coscienza che gli impone di scegliere da che parte stare.

Doveva essere l’esordio alla regia di Matt Damon che per un accumulo di impegni ha dovuto rinunciare chiedendo (c’è chi dice “implorando”) all’amico Gus Van Sant di dirigerlo. Di sicuro non si può annoverare Promised Land tra le migliori opere di Van Sant, tecnica narrativa piuttosto scontata con scene brevi e in alcuni casi ripetitive. Ma ciò che probabilmente conta di più per un film del genere è la morale trasmessa, la volontà di trasferire un messaggio che addirittura va oltre il semplice significato ecologico e la battaglia ambientalista.

Il tema principale da cui tutto parte è l’identità americana nel terzo millennio, condizionata dalla degenerazione della “terra promessa” come comunità sociale e solidale: Matt Damon ha detto che l’idea su cui voleva lavorare per iniziare a scrivere il film veniva da una domanda, “chi siamo oggi noi americani?”; e lo spunto per sviluppare la storia gli è venuto dal dibattito acceso che negli States si fa da alcuni anni sul “fracking”, la tecnica “sporca” per l’estrazione dei gas naturali. L’identità americana, e di conseguenza quella occidentale, è macchiata dal morbo del miglior offerente, colui che sa di poter comprare tutto e, grazie ad un potere che nella maggior parte dei casi si è comprato, prende decisioni imponendole alla maggioranza fregandosene dei danni sulla salute pubblica, dell’eguaglianza sociale, del bene comune, dei diritti individuali.

Quello che potrebbe risultare semplice giogo del peggior capitalismo diventa cultura identitaria nel momento in cui ogni essere umano, nel suo vivere quotidiano, si rende complice del meccanismo degenerativo, del sistema malato. Nel finale Promised Land attraverso una semplice frase regala una spiegazione cruda alla morale che intende trasmettere: Sue, la collega del protagonista interpretata dalla straordinaria Frances McDormand, prima di salutare Steve gli dice “It’s just a job“, è solo un lavoro, quasi a giustificare il marcio che è venuto a galla riguardo a quello che da anni fanno in giro per l’America per conto di una multinazionale; perchè se è lavoro, nella perversa cultura occidentale moderna, non è mai male, a prescindere dalle conseguenze che tale lavoro può portare agli altri.

Il film in questione se da un lato vuole dimostrare che si può sempre scegliere da che parte stare, dall’altro fa capire tristemente che finchè ci sarà qualcuno che disperato ed incosciente sarà disposto a vendere la propria dignità al motto di “è solo un lavoro“, la degenerazione non avrà mai fine.

Prima dell’uscita in sala le grandi compagnie petrolifere americane avevano minacciato denunce limitandosi poi ad una sorta di boicottaggio che negli Stati Uniti può dirsi riuscito visto lo scarso successo di botteghino; boicottaggio motivato dal fatto che tra i finanziatori del film ci fosse l’Emirato di Dubai, paese petrolifero accusato di favorire una storia sulla pericolosità del gas naturale.

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