Public Image Limited @ Atlantico, Roma

Alle diciotto è così buio che sembra quasi notte fonda, c’è qualcosa di strano nell’aria, colpa dell’ora solare ripristinata nella notte scorsa, colpa della lunga linea di fari rossi che risale l’autostrada, da sud a nord, per raggiungere la Capitale. È domenica 27 ottobre e, da oggi, siamo tutti un po’ più vuoti, perché in una domenica mattina qualunque è morto Lou Reed. La notizia, ricevuta durante una sosta all’autogrill, e verificata (vista la mia evidente incredulità) con un fugace accesso ad internet, scuote non poco me e i miei compagni di viaggio, tanto da creare il vuoto nell’abitacolo della mia auto.

Eppure non c’è modo migliore di commemorare la perdita di un pezzo di storia del rock, se non quello di partecipare al live evento di un altro pezzo di storia del rock. Loro sono i Public Image Limited e il loro fondatore risponde al nome di Johnny Lydon, meglio conosciuto come Johnny Rotten, papà del punk e voce dei Sex Pistols. In apertura del live, in un Atlantico non esattamente pienissimo, ci sono gli italianissimi Soviet Soviet, che presentano per una mezz’ora abbondante il loro nuovo album Fate, prossimo all’uscita. La band pesarese, visibilmente emozionata, ce la mette tutta per coinvolgere il pubblico che, interessato, apprezza il loro post punk duro ed evocativo.

Sono le 22 ed è il turno dei PiL, il buio avvolge la sala ed i nostri eroi salgono sul palco. “Stanotte, e solo per stanotte, sarò Johnny Rotten e non Johnny Lydon. E questa che ho in mano è una banana… la banana di Johnny Rotten”:  è con questo sottile e silenzioso omaggio a Lou Reed e all’icona dei Velvet Underground, che ha inizio l’esibizione della band inglese. L’apertura è affidata a Deeper Water, un brano del nuovo album This is PIL e subito il suono così unico e particolare della band inizia a farsi sentire e a scaldare gli astanti. La musica ti avvolge come in una spirale, ti culla, ti fa danzare e saltellare e soprattutto ti emoziona quando infila, uno dietro l’altro, due capolavori assoluti come Albatross e  This is Not a Love Song, da cantare a squarciagola fino a restare senza voce. E’ la world music che incontra il punk, i tempi in levare che si sposano con le urla e flirtano con l’hip pop: This is what you want / this is what you get. E quello che ottieni è un unico, lunghissimo brano, un fiume in piena di energia, un mantra in cui lo sciamano Johnny ti guida verso la purificazione. E’ un cammino fatto di pietre miliari come Poptones, Careering e Death Disco, di bottiglie di whisky con le quali fare i gargarismi tra un pezzo e l’altro, mentre le chitarre stridono straziate e il basso somiglia sempre di più a una molla che fa rimbalzare l’intera impalcatura sonora.

I Public Image Limited o si amano o si odiano, loro che appartengono a tutto e a niente, che restano così fedeli a se stessi da vendersi continuamente, che sono pop, post punk, dub reggae insieme, e proprio per questo possono permettersi quasi tutto. I ritmi si dilatano, ma il tempo passa velocemente, la scaletta alterna brani vecchi e qualche incursione nuova e Warrior si dilata dura e minacciosa.

Si arriva presto al bis che fa del male fisico, nel senso che tutta l’energia accumulata viene rilasciata in tre superbe esecuzioni da togliere il fiato. Public Image fa partire il pogo: feroce, cattivo, liberatorio. E’ bello guardare il pubblico, vedere i darkettoni che affiancano i ragazzini, i punk che stanno accanto a chi semplicemente negli anni ottanta c’era e adesso non è più così giovane, ancora più bello è vederli tutti ripetere l’universale ritornello di Rise: quel I could be wrong / I could be right così sempre universalmente vero. La chiusura è come di consueto affidata a Open Up, cover dei Leftfield, che porta una ventata di elettronica nell’Atlantico, prima che si svuoti.

La magia della storia si è compiuta ancora una volta. Ancora una volta le canzoni ci ricordano chi siamo e lo fanno con quella carica di adrenalina incredibile che solo il rock’n’roll sa dare. Lunga vita a Johnny Rotten e alla sua banana.

Fotoreport a cura di Roberto Pinto

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Setlist:

  1. Deeper Water
  2. Albatross
  3. This is Not a Love Song
  4. Poptones
  5. Careering
  6. The Order of Death / The Body
  7. Warrior
  8. Reggie Song
  9. Death Disco (Swan Lake)
  10. Out of the Woods
  11. One Drop

Encore:

  1. Public Image
  2. Rise
  3. Open Up (Leftfield cover)
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