Quel che resta del Lido: tra la “PIETA’ ” di Kim Ki-Duk e lo ”scientology MASTER” di Anderson…lascia il segno Bellocchio

La sera della proiezione di Pieta (titolo originale e universale voluto dall’autore) di Kim Ki-Duk alla 69ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia i dubbi su chi avrebbe portato a casa il Leone d’Oro si erano dissolti all’unisono tra giurati, critici, spettatori, volontari, organizzatori e persino tra le forze dell’ordine presenti per la sicurezza. Alla poesia per immagini a cui ci ha abituato il regista coreano in L’isola, Primavera-Estate-Autunno-Inverno…e ancora Primavera e Ferro 3, stavolta ha aggiunto una storia e un personaggio tanto sublime quanto spietato, assetato di vendetta ma scrupoloso nella sua pazienza.

Oltre agli osanna degli addetti ai lavori Pieta ha avuto il merito di fare da ponte tra le due sponde della giuria che non pareva potessero venirsi incontro: i tifosi/estimatori di The Master di Paul Thomas Anderson e i filo-casalinghi pendenti verso Bella Addormentata di Marco Bellocchio.  Di sicuro le opere in questione brillano per qualità cinematografica al di sopra della media,  con una ricerca più marcata di una narrazione classica per quanto riguarda Anderson, mentre Bellocchio oltre a provocare costantemente per le storie che racconta prova sempre a sperimentare e ad innovare le proprie regie. Tradizione vuole che il regista piacentino esca perennemente a mani vuote dalla kermesse veneziana, soprattutto quando è dato tra i favoriti,  e stavolta non poteva andare diversamente anche perché contro aveva metà del paese che pur senza aver visto il suo film lo ha considerato meritevole di condanna e boicottaggio per aver trattato il tema dell’eutanasia tirando in ballo uno dei casi più controversi per l’opinione pubblica italiana, e cioè quello di Eluana Englaro costretta per 17 anni alla nutrizione artificiale in seguito ad un incidente per una “sopravvivenza” in stato vegetativo.

The Master nonostante le precauzioni e le smentite può tranquillamente essere definito una pellicola che parla del fenomeno della setta Scientology che “ipnotizza” cervelli e svuota tasche da decenni principalmente in Usa; e se non può vantarsi della vittoria del Leone d’Oro, l’opera può sbandierare i favori e le preferenze della maggior parte dei critici e degli spettatori, nonché della giuria che ha premiato con la Coppa Volpi entrambi gli interpreti maschili, Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix, e con il Leone d’Argento per la miglior regia Paul Thomas Anderson. E il cinema italiano? A suo modo ne esce bene: a parte Bella Addormentata di Bellocchio nessun titolo poteva aspirare al Leone d’oro ma tutte le opere presentate in concorso e non sono meritevoli di menzione e sono state più o meno apprezzate dalla stampa internazionale.

Sorpresa piacevole è stata il folgorante esordio alla regia solista di Daniele Ciprì con E’ Stato il Figlio, premiato per il miglior contributo tecnico, una sorta di riconoscimento alla fotografia e alla messa in opera generale del film, che può vantare tra l’altro anche il premio Marcello Mastroianni per l’attore emergente assegnato a Fabrizio Falco per la doppia performance in E’ Stato il Figlio e in Bella Addormentata (pellicole che hanno in comune anche un altro attore: uno straordinario Toni Servillo). A parte il terzo film in concorso Un giorno Speciale di Francesca Comencini, le migliori cose si sono viste dalle sezioni collaterali con Gli Equilibristi di Ivano De Matteo, Acciaio di Stefano Mordini, L’intervallo di Leonardo Di Costanzo, l’esordio alla regia di Luigi Lo Cascio con La città Ideale e Bella Mariposas di Salvatore Mereu. Ottima la selezione riguardante i documentari che ha visto spiccare quello di Francesco Patierno su un evento tra melodramma e storia del cinema con la Guerra dei Vulcani per il triangolo amoroso che coinvolse Rossellini-Magnani-Bergman a inizio anni ’50, Il Gemello di Vincenzo Marra che racconta la vita nel carcere di Secondigliano, il toccante La nave Dolce di Daniele Vicari sugli sbarchi in Italia degli albanesi nel ’91,  e il bellissimo Enzo Avitabile Music Life girato dal regista premio Oscar Jonhatan Demme come atto di ammirazione verso il musicista partenopeo e la città di Napoli.

Lasciando il cinema italiano bisogna menzionare alcune delusioni della rassegna e su tutte il centenario Manoel De Olivera con O Gebo e a Sombra a cui non bastano Claudia Cardinale e Jeanne Moreau per migliorare l’insipido risultato; fin troppo enigmatico e allo stesso tempo forzatamente scandaloso il Brian De Palma di Passion che ovviamente non fa mancare le due-tre scene memorabili dal sapore hitchcockiano, ma per un maestro come lui è un po’ pochino per un film. Controverso come solo lui può essere, invece, Terence Malick che ha da tempo abbandonato la cinematografia convenzionale nella concezione cattiva del termine ma a volte anche in quella positiva tanto che se Tree of Life aveva momenti eccelsi tra poeticità ed epicità visiva, l’ultimo To The Wonder abbonda in esercizi filosofici fini a sé stessi che non sempre riescono a collegarsi con una trama e con le immagini. Assolutamente innovativo e fin troppo colorato Spring Breakers di Harmony Korine che adotta uno stile YouTube per esplorare l’universo degli universitari statunitensi alle prese con la loro mania verso le cosiddette vacanze di primavera in Florida, a base di sballi di tutti i tipi.

Uno dei film che potrebbe aggiudicarsi il titolo di rivelazione assoluta spetta a The Iceman di Ariel Vromen con uno strepitoso Michael Shannon (ricordate lo psicolabile di Revolutionary Road?) nei panni di un killer spietato ma dai modi gentili e premurosi in ambito familiare.  Per concludere l’elenco delle piacevoli sorprese dobbiamo arrivare a menzionare gli altri premi assegnati dalle giurie della Mostra: il Leone d’Argento per il Premio Speciale (diciamo terzo classificato per semplificare) è andato al provocatorio Paradise:Faith dell’austriaco Ulrich Seidl che, state tranquilli, difficilmente vedremo in Italia dato che la protagonista fervente cattolica oltre a cercare di fare proselitismo compie atti impuri con un crocifisso; la Coppa Volpi per la miglior attrice è andata a Haras Yadon per Fill The Void di Rama Burshtein sulle regole della comunità cassidica ortodossa, una corrente dell’ebraismo; l’Osella per la migliore sceneggiatura è stata assegnata a Olivier Assayas per Apres Mai sulla Parigi post-sessantottina; il premio Orizzonti è andato al regista di Hong Kong Wang Bing per Three Sisters sulla vita di tre sorelle in un piccolo villaggio di montagna nella provincia dello Yunnan; il Leone del Futuro-Premio Luigi De Laurentiis è andato ad uno dei film che più hanno impressionato e cioè Kuf Kuf di Ali Aydin che racconta una storia poco diffusa ed indagata e riguarda la sparizione di molti ragazzi turchi probabilmente imprigionati per attività antigovernative (il film sarà distribuito in Italia dalla Sacher di Nanni Moretti nel 2013); il Gran Premio Speciale della Giuria della Sezione Orizzonti è stato assegnato a Tango Libre del regista belga Fredreric Fonteyne che parla di una vicenda particolare che vede protagonista una guardia carceraria ed una donna alle prese con varie forme d’amore.

Dopo l’addio  di Marco Muller (non tragico per fortuna, ma neanche conseguente a separazione consensuale a dire il vero) c’era bisogno di una direzione meno protagonista per Venezia: l’accoppiata Baratta(presidente della Biennale)-Barbera(direttore Mostra del Cinema) non ha deluso ma di certo non ha reso memorabile questa edizione. Selezione buona ma non eccelsa, intrattenimento e populismo al minimo…cinema festivaliero a go-go ma senza innalzarsi su piedistalli per scoperte da rinfacciare da qui a trent’anni. Vabbè, diciamo che è iniziata una nuova era per la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, che non ci saranno tutti gli anni gli incontri tra Robert Redford e il Presidente della Repubblica italiana ad attirare l’attenzione dei media né tantomeno si può chiedere a Bellocchio di fare film ogni due anni sugli eventi più controversi della storia del nostro paese per presentarli al Lido così da monopolizzare i telegiornali, oltretutto preferendogli per il Leone d’Oro sempre russi e coreani…sarà per la prossima Mostra, in tutti i sensi.

Solita domanda di fine Festival: quanti dei film presentati a Venezia saranno distribuiti nei cinema italiani? Risposta difficile da dare ora…ma luogo comune  e triste realtà dei fatti permettono di sbilanciarsi: pochi…saranno molto pochi.

Exit mobile version