Ma perché riadattare Bergman?

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In origine Scene da un matrimonio era una miniserie scritta e diretta da Ingmar Bergman per la televisione svedese, poi ridotta a una versione più breve per il cinema. Il film racconta, con la grazia di cui è capace Bergman, lo sfacelo di un matrimonio. È tutto perfetto: gli attori, i dialoghi, la narrazione a episodi, i colori, gli interni. Bergman ti trascina dentro una storia d’amore che cade a pezzi poco alla volta. Liv Ullmann è statuaria, bellissima, dolorosa, non ti immagini nessun altro al suo posto; Erland Josephson altrettanto. Sono due volti importanti nel cinema di Bergman, lui sa come catturarli con la cinepresa, li indaga; è anche attraverso quelle facce che le sue scene da un matrimonio sono piene di pathos e nostalgia, e che chi guarda si sente compartecipe della vita della coppia. Con Liv Ullmann il regista svedese ha avuto una storia d’amore, forse questo lo aiuta a conoscere i tratti segreti segnati sul volto dell’attrice; basta tornare indietro a Persona per vedere come Ingmar riesca a catturare il volto di Liv Ullmann in ogni sua esitazione, ogni ombra, ogni luce. Se Persona era girato in bianco e nero e tracciato sul giovane volto di Liv (e di Bibi Anderson), con Scene di matrimonio ci sono i colori, lei è poco meno giovane, più donna che ragazza, e con la sua sola presenza aiuta tanto Bergman a riflettere sulle sue relazioni andate a male.

Scene da un matrimonio di Bergman è datato 1973, non è poi così lontano nel tempo. È un racconto moderno, soffice, in un certo senso anche molto scandinavo, nei suoi interni e nella sua mentalità. Così diventa veramente poco chiaro il perché abbia bisogno di un riadattamento. Se Scene da un matrimonio di Bergman è un racconto universale e riuscito, perché dovremmo vedere il riadattamento statunitense della nuova serie HBO di Hagai Levi? In parole povere: perché adattare una cosa che esiste già ed è così bella? Forse non riusciamo ad accontentarci veramente di Ingmar Bergman, dobbiamo sempre andare avanti, rifare, fare circolare moneta continua, prendere le storie e rivederle con occhio americano, come se Liv Ullmann e Erland Josephson non contassero abbastanza o non siano abbastanza contemporanei, troppo periferici da noi. Non è la prima volta che succede, e di sicuro non smetterà di ripetersi l’ossessione contemporanea della rivisitazione, e in molti casi è un gran peccato. Peccato perché Scene da un matrimonio nella sua versione originale scandinava è una grande esperienza, pensata con gli occhi del suo regista e i volti di quegli attori. E non si capisce perché dovremmo preferire il remake americano, che per quanto fedele all’originale toglie un po’ di aura bianca e calda all’originale. È vero che ogni storia è una storia, e chiunque può raccontarla come si racconta la leggenda di Robin Hood, ma Scene da un matrimonio non è poi così lontano dal nostro tempo da meritarsi di essere accantonato nell’angoletto di un mobile ikea per preferirgli la serie hbo in hd.

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