Scusate, sono Stato io

Le scuse, il mezzo poliforme per raggiungere il perdono od altra destinazione; il cattolicesimo ha inculcato i fondamentali attraverso il cospargere le fronti di cenere, il resto è frutto di produzioni proprie.  Il tempo ha abituato tutti a veder tutto, dai semplici passi indietro ai doppi carpiati all’indietro di indubbio effetto. La differenza in questo caso la ritroviamo sul soggetto dell’azione, in quanto non di tratta più di soggetti vari ed eventuali ma di una persona che, munita di incarichi statali apicali, rappresenta in quel momento solenne la più alta delle entità, quella che non ammette autorità sovraordinate: lo Stato, in tutta la sua interezza.  Un momento, questo, che dovrebbe rimanere tutt’altro che relegato in un angolo poiché, da che se ne ha memoria, uno Stato e nello specifico lo Stato Italia, persino nei suoi momenti peggiori, non cerca il perdono ma difende se stesso e “fa quadrato”.

L’ambasciatore di queste scuse, in due diverse occasioni, è stato il Ministro dell’Ambiente Orlando insieme, in una di queste due occasioni, al Prefetto Gabrielli. Le prime scuse sono state presentate due mesi fa, durante un incontro sugli sversamenti di rifiuti tossici e sui venti di protesta nel napoletano, mettendoci la faccia, nel Parco Verde di Caivano (NA).

Il disastro del Vajont

Le seconde sono arrivate pochi giorni fa in merito ad una vicenda meno conosciuta forse, rispetto alla prima, ma dai contorni sicuramente più nitidi: la strage del Vajont (magnifico al riguardo lo spettacolo di Marco PaoliniVajont 9 ottobre ’63“). Il 9 ottobre 1963, circa 2000 persone morirono a causa di un’inondazione di proporzioni immani proveniente dalla diga del Vajont e causata da una frana del sovrastante monte Toc – derivazione del termine friulano patoc, che significa marcio. Un evento che, raccontato in questo modo, può sembrare una semplice fatalità ma di fatalità non si tratta davvero altrimenti non si spiegherebbero le condanne al risarcimento a carico dello Stato, oltre ad Enel e Montedison. Il Presidente del Consiglio Provinciale di Belluno all’epoca dei fatti, Da Borso, che si interessò alla questione prima dell’avvento della tragedia, decise di andare personalmente a Roma per ottenere maggiore chiarezza ed al ritorno queste furono le sue parole:

A Roma è come battere la testa contro un muro, perché la S.A.D.E. (Socientà Adriatica Di Elettricità, poi divenuta proprietà dell’Enel a causa della nazionalizzazione) è uno Stato nello Stato.

Una pratica, quella dello “Stato nello Stato”, che diventerà nota solo anni più avanti ma che, a leggere le dichiarazioni, già nei primi anni ’60 aveva ancorato le radici nei palazzi del potere.

Dunque ci si toglie in cappello davanti a un uomo che, per nulla costretto, chiede perdono e per errori non personalmente riconducibili a lui ma che fa suoi in vista del ruolo che ricopre e di tutto ciò che rappresenta. Scuse che non cambieranno le situazioni ma che rappresentano una forma minima di risarcimento ineliminabile degli animi, un primo vero tentativo di riconnettere un tessuto che lo Stato per primo ha lasciato che si lacerasse. Giusto dunque interrompere, facendolo in questi termini, il consueto minuto di silenzio e veglia arrivato a durare ben troppi anni. Con questo non si vuole assolutamente affermare che ci si trova davanti a nuove e migliori prospettive o ad uno Stato nuovo, sensibile ed umano verso chi si trova ad aver a che fare con tutti i malfunzionamenti che la stessa macchina dello Stato porta con sé. Queste scuse sono puri e semplici atti dovuti dallo Stato ai propri cittadini e che soltanto partendo da questi si rende possibile attenuare quella rabbia sorda ancora presente e ricreare così una coscienza collettiva in quanto tale, in quanto Paese.

Bisogna chiedere scusa ai cittadini e questo lo Stato lo deve fare per il presente e per ogni volta che abbandona una persona. Per tutte le volte che non sa dire “ci sono” di fronte ad un pericolo. E per quanto ha permesso che gli anni aggiungessero l’oblio o il travisamento della verità. E poi per le parole non dette o sbagliate, che si sono continuate a pronunciare.

Andrea Orlando, Ministro dell’Ambiente

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