Il diario di Etty Hillesum è un grande classico, convinciamocene

Succede così: un titolo ce l’hai segnato tra i libri da leggere, ogni volta preferisci qualcos’altro, finché non lo scegli, chiedendoti come mai hai impiegato tanto tempo ad arrivarci. Un po’ come con le persone che ami: la gioia di averle accanto è tale che non ti spieghi perché abbiano tardato a raggiungerti.

Tra me e Il diario di Etty Hillesum (Adelphi editore, traduzione di Chiara Passanti) non c’è stato un colpo di fulmine, eppure ho inteso presto di avere tra le mani non solo un documento storico, ma anche un vademecum per i giorni no, un balsamo per l’anima. Una testimonianza di morte (il nazismo, lo sterminio degli ebrei) diventa, grazie alla forza d’animo dell’autrice, un inno alla vita.

Il diario inizia nel 1941: Etty ha ventisette anni, discende da una famiglia benestante, vive e lavora ad Amsterdam. È infatuata di Julius Spier (per lei solo S.), specializzato nella lettura della mano e contornato di donne ammaliate dalla sua intelligenza. La differenza d’età con S., il lavoro, i ritmi quotidiani, da principio, sono le uniche preoccupazioni di Etty. Ma – mentre lei vive, ama, legge Rilke nella sua stanza al terzo piano di una grande casa che dà sulla Musemplein, la piazza principale di Amsterdam – i tedeschi stringono i Paesi Bassi in una morsa. La minaccia della follia nazista si fa spazio lentamente, fino a travolgere ogni cosa.

Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, ma sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall’altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia (…). Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro” scrive la Hillesum.

Prima dell’ordine di partire per Westerbork, un campo di smistamento che precede la deportazione ad Auschwitz, Etty vive la bassezza della persecuzione. Le disposizioni naziste le sconvolgono l’esistenza. Scrivendo, riporta ogni dettaglio, quasi fosse una cronista. E nel fissare con la penna l’orrore, lascia che una fede incommensurabile per la vita argini le sue paure. Etty soffre, e non solo per sé stessa. Il destino di familiari e amici le leva il sonno. Dentro di lei trova un senso all’insensato.

Probabilmente è di lì che mi viene questa serenità, questa pace interiore: dalla coscienza di sapermela cavare da sola ogni volta, dalla constatazione che il mio cuore non s’inaridisce per l’amarezza, che i momenti di più profonda tristezza e persino di disperazione, mi lasciano tracce positive, mi rendono più forte”.

L’elevatezza e la profondità dei suoi pensieri si scontrano, anche dialetticamente, con la violenza di un mondo ostile e insicuro. Il rimedio per la nostra autrice è rifugiarsi nel suo giardino interiore. Etty legge molto, vorrebbe scrivere un libro, comunicare qualcosa di importante, tuttavia manifesta più volte insofferenza verso un’urgenza espressiva che non riesce a governare. Pensa di non essere in grado di raccontare quel che vive e di trarne qualcosa per gli altri. Ma, senza saperlo, compone una trama dal valore letterario altissimo.

Quando nel 1943 si rende conto che non ha scampo, consegna il diario ad alcuni amici, indicando loro uno scrittore che potrebbe leggerlo e valutarlo. Solo negli Ottanta Gaarlandt, un editore illuminato, ne comprende la preziosità. Il successo del libro è immediato in tutta Europa, Italia compresa. Il diario di Etty Hillesum è una fonte d’ispirazione. Si finisce col pensare a lei in continuazione, nei momenti di tristezza, stanchezza, sconforto. Si finisce col pensare al suo coraggio, alla sua determinazione, alla sua forza interiore e ci si sente meno soli. Fatevi un regalo, leggetelo.

 

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