Diamo uno sguardo alla Siria

La poesia beve l’acqua di vita, ma
da sorgenti immerse
nelle pieghe del corpo.

(Adonis, poeta siriano)

 Qualche settimana fa la copertina di Internazionale era dedicata alla rivolta silenziosa, quella che non si vede in Occidente che all’ombra della crisi mondiale è impantanato a sapere di quante A dispone ogni nazione per le agenzie di rating; la storia era quella di un reporter che era riuscito ad entrare in Siria e assistere alla ‘rivolta oscurata’, quella che non entra nei classici canali, la storia è quella di un paese che continua a chiedersi perché in Libia gli occidentali hanno ‘aiutato’ i rivoltosi e in Siria non interessa neanche l’idea di andare vedere cosa succede. Sono sei mesi che impazzano le proteste contro il regime di Bashar al-Assad, 2.700 morti ammazzati nelle repressioni di stato, persecuzione dei rivoltosi (e dei loro parenti all’estero), oscuramento dei canali di comunicazione, tutto sotto il silenzio della comunità internazionale.

Torture. E’ di qualche settimana fa anche la notizia della morte di Ghiath Matar, giovane attivista siriano di 26 anni detto il ‘’Gandhi della Siria’’, di cui si possono scorgere in questo video le violenze e le torture subite; o ancora si chiama Zainab al-Hosni la prima donna morta ammazzata dal regime, il cadavere è stato trovato mutilato di braccia e gambe e decapitato. E che dire del vignettista Ali Farzat , a cui sono state addirittura spaccate le mani per impedire la satira al regime (ovviamente anche il sito dove Farzat pubblicava i suoi disegni è stato prontamente oscurato). Chi in questi folli mesi di spargimento di sangue è riuscito a fuggire all’estero non è però rimasto esente dalle minacce e dalle torture, anche i parenti degli attivisti vengono raggiunti, puniti per vincoli di sangue. E’ il caso di un ingegnere siriano aggredito a Parigi: ‘’Ero nella solita piazza insieme a una quarantina di sostenitori quando sei uomini e quattro donne ci sono piombati addosso e hanno cominciato a picchiarci.’’

L’informazione è rattoppata, grazie al contrabbando di telecamere e telefonini e modem dopo la purga del giornalismo e della stampa (molti giornalisti sono stati espulsi dalla Siria dal marzo scorso). Tutto è nelle mani di eroici gruppi indipendenti, di associazioni civili, dei social media, del caro amato simbolo della primavera araba twitter – anche se poi c’è chi come l’osservatore Özge Ersoy è pronto a giurare che ”in Siria la legalizzazione di Facebook non è vista come un segno di tolleranza, ma come una mossa tattica per localizzare i cittadini che si oppongono al regime”.

E’ triste pensare come su qualche sponda del nostro stesso mare, il Mediterraneo, si consumino inumane violenze contro chi giustamente lotta con le poche armi ha per difendere se stesso.

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