Sono andato alla presentazione del libro di Francesco Sole e ho capito che, poi, il problema è un altro

Francesco Sole è una delle star più luminose, almeno dal punto di vista di visualizzazioni e trend, che la generazione youtube ha prodotto. Principalmente conosciuto come autore di numerosi video su quanto sia difficile vivere nell’epoca delle doppie spuntine di whatsapp, dei selfie e di Facebook, accompagna questo grande successo (che l’ha portato su Canale 5 e al Festival della Filosofia di Modena) con la composizione su post-it di veri e propri aforismi, al limite degli haiku, su come affrontare il presente, fra i drammi post adolescenziali e sulle difficoltà di un ragazzo qualunque. Frasi taglienti e dense di significato che neanche Oscar Wilde e Karl Kraus, per intenderci. Naturale, com’è di questi tempi, che questo sapere non debba andare perduto e meriti di essere pubblicato in una raccolta. Così, Stati d’animo su fogli di carta, diventa il primo libro di Francesco Sole, – e probabilmente anche il primo libro per cui c’è voluto meno tempo per scriverlo che per leggerlo – pubblicato da Mondadori e posizionato in bella mostra nella narrativa, fra Walter Siti e Aleksàndr Solzenicyn che, probabilmente, qualche dubbio postumo sulla sua vita se lo sta facendo. Ma, poi, questa è sempre la solita morale intellettualistica che ci meniamo da anni, e Francesco Sole è solo l’ultimo arrivato nel procedere delle generazioni da cui non si può uscire. Dieci anni fa c’erano le nostre sorelle, o qualcuno di noi, in fila ai botteghini per i Blue e, quelli usciti dal grunge, di sicuro pensavano le nostre stesse cose. Solo che, alla fine, il libro nel cassetto di Duncan James non l’ha mai pubblicato nessuno e una volta cresciute, quelle persone, non avevano così tante prove da nascondere nell’armadio.

Così, visto che le nostre madri non ci hanno mai permesso di far la fila per una qualche boyband, non appena abbiamo scoperto che il tour di Stati d’animo su fogli di carta sarebbe passato per Torino non potevamo perdercelo. Ma non è stata una decisione facile e, soprattutto, non pilotata dall’idea del ‘vado da Francesco Sole così posso scrivere un pezzo su quanto l’estinzione del genere umano sia una cosa buona’, che sarebbe come sparare sulla croce rossa e mi sarei risparmiato la pioggia e il freddo, piuttosto per la curiosità di capire chi sono quelli che lo seguono disinteressatamente e con fiducia. O forse era solo per coltivare qualche speranza nell’umanità. La stessa che aveva negli occhi quel simpatico signore anziano che si leggeva un fumetto di Milo Manara di nascosto, e guardava tutta quella gioventù riempire, finalmente, una libreria. Quando poi mi ha chiesto di che cosa si trattasse se n’è andato, ma magari aveva solo finito la storia. C’erano, però, davvero tanti ragazzi con e senza i genitori, ma non solo, in fila indiana pronti a farsi firmare la loro copia del libro. Perché poi questo è stato, una firma di autografi, dopo più di un’ora di attesa, non una presentazione di un libro anche perché, probabilmente, per presentare un libro prima devi averne scritto uno per davvero, ma questo è un altro discorso. Uno show da aperitivo, piuttosto che un incontro in una libreria che dovrebbe, per quello che contiene, trasmettere cultura, che sia Mondadori o Feltrinelli, ma poi non è che puoi aspettarti molto di più.

Tutto si sviluppa con un breve saluto e un rapporto intimistico con le persone che, una dopo l’altra, gli si avvicinavano, gli regalavano disegni e chissà quante parole dolci, poi i selfie e le lacrime. Per me niente foto, avrei dovuto avere il pass, che si riceveva solo con la copia del libro e ho preferito tenermi tutto nel cuore (e nel portafoglio). La scena a cui assisto, e la sensazione che mi solleva, è un po’ la stessa di chi si faceva le vacanze all’isola del Giglio solo per la Costa Concordia. L’esserci e basta, indipendentemente da quello che c’è scritto sul libro, ma solo perché chi l’ha scritto è una persona che, ultimamente, sta ottenendo successo. Cercare, quindi, di strappare un secondo a una persona il cui tempo, per qualche strano motivo, è considerato importante. E la fine, non glielo auguro, sarà un po’ come quel relitto, una volta spostate le luci, e il relitto, non se la ricorda più nessuno, come è già stato per gli altri che l’hanno preceduto. Perché poi, il problema vero, non è nemmeno Francesco Sole, i Blue o i One Direction, ma il vuoto che vanno a riempire, quello che prima (ma non necessariamente) era occupato da qualcos’altro e di questo, per davvero, siamo tutti colpevoli. Non dobbiamo prendercela troppo, quindi, se c’è gente che vale di più, che ha più cose da dire e meglio ma non ha le stesse possibilità di esprimersi, perché se è vendere il fine di un libro o di un disco allora, non c’è partita e il mercato, per quanto condizionante, è fatto dall’oggettività di una richiesta che, evidentemente, sa cosa vuole. E la fila di ragazzini che dalle quattro del pomeriggio si è rinchiusa in quelle librerie, lo sa bene. Non era un classicone o un saggione su quanto ci stiamo perdendo per strada, ma un libro in cui potersi rispecchiare e che parlasse quel linguaggio in quel determinato modo. Breve, come un post-it o un messaggio sul cellulare, perché tempo per tante parole non ne abbiamo più e, sempre meno persone, ce lo fanno ritrovare. Certo è che tutti questi, poi, non ci aiutano tanto a cambiare direzione e, di sicuro, fanno parte del problema.

Fatto sta che Francesco Sole, qualunque campagna #selvaggianonmentire, qualunque dubbio alla Fabio Volo ci venga in merito al suo personaggio, una libreria l’ha riempita di persone, che ha pubblicato un libro con una delle case editrici più grosse del paese e che viene invitato ai festival pseudointellettuali mentre a noi non ci rimane che oscillare fra la sopravvivenza e aprire un nuovo canale youtube. Quello che significa davvero probabilmente lo sappiamo tutti. Ma, forse, aveva ragione mia madre quando mi proibiva di andare a questi eventi, meglio non scioglierli per davvero certi dubbi.

 

 

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