“Sorelle”, viaggio nell’immaginario di Daisy Johnson

Sorelle” di Daisy Johnson, tradotto da Stefano Tummolini e pubblicato da Fazi editore, segna il ritorno dell’autrice britannica dopo l’enorme successo del primo romanzo, “Nel profondo” (Fazi editore), che l’ha consacrata come una delle più giovani autrici finaliste del Man Booker Prize. Era il 2018 e Johnson aveva 27 anni. Alle spalle un esordio editoriale altrettanto brillante, “Fen”, una raccolta di racconti ancora inedita in Italia. Nella sua scrittura riecheggiavano l’amore per l’horror, i romanzi gotici, le opere di Shirley Jackson e Stephen King, e una reminiscenza inevitabile del lavoro di un altro pilastro della letteratura anglosassone, Angela Carter. E “Sorelle” non tradisce queste radici letterarie e porta con sé tutto l’immaginario cupo e tormentato della scrittrice; si tratta di un romanzo in cui l’elemento horror è diffuso e persistente, mai definito in maniera univoca, ma costruito con un incedere costante. E questa costruzione della paura viene affidata a Luglio e Settembre, le due sorelle protagoniste, coloro che rendono il romanzo inquietante e inquieto, così come lo sono loro: Settembre dominante e feroce, Luglio, più piccola di dieci mesi, inquieta e addomesticata dalla furia della sorella. Assieme a loro una madre, Sheela, che alterna momenti di annullamento totale, conseguenza della sua depressione, a slanci creativi in cui eleva le due figlie a icone e personaggi dei libri che scrive e illustra, contribuendo con questo a sfumare i contorni tra vita reale e interpretata, uno dei temi portanti del romanzo. Luglio e Settembre sono indipendenti e simbiotiche in un rapporto in cui Sheela non trova spazio.

È Luglio la voce narrante assoluta, con poche incursioni della madre a riempire il passato della loro famiglia; il padre, mai davvero presente, è morto anni prima, ma il vuoto che lascia nella vita delle figlie è comunque ingombrante. Il romanzo si apre con la famiglia in viaggio verso Casa Accoglienza nelle North York Moors, nordest dell’Inghilterra, perché un evento traumatico misterioso macchia il loro passato, un evento a Oxford, dove vivevano prima, di cui però no parlano mai. Nel viaggio le due sorelle sono vicine, i pensieri in sincrono:

Cerco il braccio di Settembre pensando di affondare i denti nella pelle per vedere se riesco a capire, dal contatto, a cosa sta pensando. Certe volte ci riesco.

E questa simbiosi è uno dei temi portanti di “Sorelle”, la prima scintilla del sottofondo horror che è Luglio, soprattutto, a costruire interpretando la sorella, raccontandola, sognandola, immaginandola fino a perdere il contatto con la realtà.

Somiglio a mamma. O come dice mamma, alla nonna, in India dove non siamo mai state. Settembre non somiglia noi. Papà non ce lo ricordiamo, ma sicuramente assomiglia a lui, con i capelli lisci, le guance morbide coperte di peluria bionda, gli occhi chiari come un animale delle nevi.

Settembre, si diceva, è dominante, «incline a grandi efferatezze» e influenza con i suoi atteggiamenti l’intera famiglia. «Mi teneva ancorata. Non al mondo ma a lei» ammette Luglio.
Il contatto con l’esterno viene raccontato solo nei flashback di Sheela, perché nel presente narrativo Settembre e Luglio bastano a loro stesse; sono infantili e adulte allo stesso tempo, costruiscono fortini in casa quasi fossero «richiuse in una infanzia eterna», e poi chattano su Internet con uomini pescati a caso fingendosi donne adulte. Johnson, tuttavia, da a queste due sorelle una dimensione adolescenziale credibile, al limite ultimo della transizione verso la vita adulta, fatta di bulle e ingenuità dolorose, ma dopo il trauma si richiudono in questa casa che è tana e mondo intero, contemporaneamente. Luglio e Settembre sono una monade, talmente indivisibili che sopraggiunge il dubbio che niente sia reale, frutto solo della testa di Luglio. Ma chi può giurare a fine lettura che non sia così?

Daisy Johnson contrappone a questa monade la solitudine di Sheela, le sue crisi depressive, il suo senso di inadeguatezza come madre, un tema caro all’autrice, che già nel romanzo precedente aveva indagato a lungo la maternità con personagge vinte da un’atavica fatica e l’impossibilità di trovare la propria dimensione di madre. Sheela ha paura delle figlie e del loro legame, frenata anche dalle sue difficoltà. «Mi sono chiesta, in quel momento, cosa si prova a essere la madre di due figlie che non hanno bisogno di te» si chiede Luglio, fin troppo consapevole di quanto la salute mentale di Sheela sia già precaria, rinchiusa in quella casa e nel suo bozzolo di apatia che la protegge dall’esterno e dalle figlie stesse.

L’altro tema dominante è la minaccia domestica, già indagato a fondo da Shirley Jackson, che in tutta la sua opera ha rappresentato case come corpi che inglobano le esistenze escludendo l’esterno, esacerbando la solitudine. Come in “L’incubo di Hill House”, Casa Accoglienza di Settembre e Luglio respira, nasconde, dialoga, si muove e protegge le sue abitanti. E qui interviene il grande mestiere di autrice di Daisy Johnson che costruisce la minaccia con descrizioni quasi ossessive degli ambienti, che sono la sua cifra stilistica, con i particolari a costruire il romanzo e ossessionare la voce narrante, Luglio.

La Casa ha i muri portanti. Ecco cosa portano: l’infinita tristezza della mamma, gli scatti d’ira di Settembre, la mia muta incapacità di fare tutto quello che gli altri mi chiedono di fare, le stagioni, la morte dei piccoli animali nella macchia qui intorno, ogni parola d’amore o di rabbia che ci diciamo l’un l’altra.

Dettaglio della copertina italiana di Sorelle, Fazi Editore

I tre libri di Daisy Johnson sono legati da fili invisibili di citazioni che ritornano (per esempio la filmaker January Hargrave già citata in “Fen”), le difficoltà della maternità, la fatica di trovare il giusto posto nel mondo, ricorrendo spesso e volentieri al fantastico per sanare la propria esistenza (si pensi, ancora, al primo racconto di “Fen” e alla ragazza che smette di mangiare e diventa anguilla). Johnson sceglie di scrivere donne comuni incastrate nello straordinario, l’unica soluzione possibile.

“Sorelle” abbandona progressivamente il piano del reale fino ad entrare nella testa di Luglio e nelle sue psicosi indotte da vecchi e nuovi traumi, tecnica che ricorda un altro caso letterario recente, “Sto pensando di finirla qui” di Iain Reid (Rizzoli). Il dubbio che il sogno abbia sconfinato nella realtà non abbandona mai, forse è proprio questo il punto vincente di “Sorelle” pur nell’eccessiva perdita dei contorni e le ripetizioni degli ultimi capitoli. Ma la scrittura di Johnson rimane sempre interessante: le descrizioni sovrastano tutto, rendono i dialoghi quasi inesistenti e senza segni grafici in un risultato finale che il New York Times definisce “scrittura impressionista”.

“Sorelle” è un romanzo sui rapporti familiari, sul sangue e sulla carne di donne adulte o in crescita, sul loro corpo, sulla loro immaginazione e il confine sottile tra l’onirico e la realtà, confine che nelle ultime pagine sfugge in una improvvisa consapevolezza di Luglio ispirata, ancora, alla migliore Shirley Jackson di Lizzie.

Se il cervello è una casa con tante stanze, io vivo nello scantinato. È buio e silenzioso. […] Se il cervello è una casa con tante stanze, in ognuna ci abita Settembre. Le stanze sono grandi come chiese e lei si gonfia come un pallone per riempirle.

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