SQÜRL vs Man Ray: la sonorizzazione onirica di Jim Jarmusch e Carter Logan

Prendere l’arte di Man Ray e coccolarla, divulgarla. proteggerla e – perché no? – ampliarla. Un progetto ambizioso che in quanto tale, per definizione, racchiude anche tanti rischi. A correrli, con coraggio, troviamo una coppia di nomi la cui semplice pronuncia ad alta voce è in grado di far drizzare le antenne a tutti i bohémien nel raggio di parecchi chilometri. Stiamo parlando degli Sqürl, la band composta da Jim Jarmusch e Carter Logan, in concerto al Cinema Massimo di Torino per la sonorizzazione di quattro cortometraggi di Man Ray.

Jim Jarmusch: uno dei nomi più rilevanti nel panorama del cinema indipendente americano. Cartel Logan: produttore, attore, compositore, e chissà che altro. Entrambi accomunati da un amore profondo per l’artista dadaista e surrealista americano. Alcuni lo conoscono principalmente per la sua attività da fotografo, altri per quella da pittore, altri ancora per la sua mirabolante incursione nella settima arte, sfociata in una produzione che ancora oggi esercita un enorme fascino su cinefili e non. L’estro creativo di Man Ray, al secolo Emmanuel Radinski, si declina in tante forme, tutte rivolte alla sperimentazione artistica. Tra queste, quella cinematografica vanta la gestazione più contorta, forse perché percepita dall’autore come compromettente. Una sorta di macchia – assolutamente necessaria e desiderata – sulla tela della sua vera professione.

Non dovrebbe stupire, perché è un tema ricorrente quando ci si addentra nella prima storia del cinema e ci si imbatte in quei rari maestri multi-potenziali che si muovevano trasversalmente tra varie arti. Lo diceva anche Ennio Morricone, quando parlava della sua lotta – interiore ed esteriore – verso la cosiddetta dignità artistica. Non era facile indirizzare la propria creatività alla cinematografia senza percepire il rischio di cedere al fascino lussurioso di un’industria che consuma, talvolta corrompe. Chiunque abbia visto “Babylon”, il controverso film di Damien Chazelle uscito da poco in sala, potrà farsi istantaneamente un’idea dei perché. Eppure – è facile dirlo oggi – il valore dell’eredità artistica del Man Ray produttore cinematografico è inestimabile.

La sfida degli Sqürl non è quella di incollare il pubblico alla poltrona, né di farlo saltare sulla stessa. Su quella poltrona vogliono farci sciogliere, fino a fondere i tessuti. Per questo la proposta musicale di Jim Jarmusch e Carter Logan non ha l’impatto tipico di un concerto capace di andare agilmente sold out in prevendita. Forse perché il vero protagonista non è sul palco, è ha il peso specifico di una leggenda. Più di ogni altra cosa, gli Sqürl trasmettono infatti un genuino senso di rispetto e riverenza nei confronti del genio di Man Ray. Nonostante lo show sia parzialmente improvvisato, tenendo fede ai valori artistici della loro guida, segue un flusso molto solido, che porta Jim Jarmusch e Carter Logan a dialogare con le immagini con estrema sensibilità. E dato che ci si sta avvicinando alla banale definizione di “sonorizzazione“, si può tranquillamente dire che gli Sqürl abbiano fatto molto bene il proprio lavoro. Un lavoro assolutamente difficile.

L’étoile de mer, Man Ray

I film proiettati alle spalle del duo d’avanguardia newyorkese sono quattro: “L’étoile de mer” (1928), “Emak-Bakia” (1926), “Le Retour à la Raison” (1923) e “Les mystères du château de Dé” (1929). I primi tre corti, di recente, hanno avuto una meravigliosa veste sonora a opera del nostro Teho Teardo, che nel suo album del 2015 omaggiava il lavoro di Man Ray con altrettanta cura e passione, ma a differenza del compositore di Pordenone, gli Sqürl sembrano allontanarsi con maggior decisione da qualsivoglia struttura.

In un processo cronologico inverso, Jarmusch e Logan partono dalla rappresentazione più surrealista di Man Ray, con il suo terzo film – “L’Etoile De Mer” – che porta sullo schermo una visione onirica di immagini stranianti, volutamente distorte dalla lente opaca. “We are forever lost in the desert of eternal darkness”, è la folgorante citazione che riempie lo schermo e la testa degli spettatori. Il dadaismo però fa presto irruzione in sala, con la proiezione di “Emak Bakia”, introdotto da una memorabile didascalia che lo definisce un “cinepoema”, un’opera creata al solo scopo di essere vista, cogliendo una forma poetica che prescinde dal suo significato o da una qualsivoglia forma di narrazione. In questo senso, la sonorizzazione degli Sqürl, sembra dare ancora maggior volume al campionario di Man Ray, aggiungendo un’eterea coesione alla giustapposizione di immagini.

Segue “Le Retour à la Raison”, cronologicamente il primo corto di Man Ray, noto per la sua rocambolesca realizzazione in appena un giorno. Ventiquattro ore sono infatti tutto ciò che gli era stato concesso da Tristan Tzara, leader del movimento dadaista che commissionò l’opera all’artista di Filadelfia alla vigilia della sua stessa proiezione, il 6 luglio 1923 al Théâtre Michel di Parigi. Il risultato fu un caotico miscuglio di riprese dal vivo e dei cosiddetti “rayographs“, nati da una tecnica fotografica sperimentale alla quale l’artista stava già lavorando, prima di metterla al servizio del suo primo film.

Le retour à la raison, Man Ray

Chitarra, batteria, sintetizzatori e loop station sembrano concorrere alla creazione olistica di un suono unico, quasi impossibile da scindere nelle sue componenti, in cui le intuizioni sonore si rincorrono senza mai giungere a reale compimento, senza mai esplodere in un climax che non ha alcun appiglio su cui ergersi. Un risultato opaco come i fotogrammi, sempre sul punto di mostrarsi troppo fragile per proseguire. Eppure, ipnoticamente, resiste e ci conduce a “Les Mystères Du Chateau Du De”, l’atto conclusivo.

Il rifiuto delle logiche compositive, la negazione della spettacolarizzazione dell’arte, l’esaltazione della sua improvvisazione e dell’assemblaggio di immagini private del loro senso. Tutto questo sfocia coerentemente in uno show difficile da metabolizzare, tanto visivamente quanto acusticamente. Ma è solo dopo essere tornati a casa, nel nostro comfort quotidiano, che possiamo renderci conto di come la devota side-band di Man Ray (questa la definizione con cui viene presentata la band sul palco) sia stata in grado di aprire le porte del nostro subconscio. È questa la grande vittoria degli Sqürl.

Exit mobile version