Still Corners – Strange Pleasures

Le band dream pop spesso peccano di eccessiva seriosità e lentezza nella stesura delle loro opere. Possiamo notare questo in parte pensando ai Boxharp, o anche ai Memoryhouse per certi tratti; ad una sacralità eterea e un tantino eccessiva si contrappone una certa mancanza di fluidità che rischia di rendere l’opera poco avvolgente e inadatta al lungo ascolto. Anche Creatures of an Hour, l’esordio degli Still Corners, pur essendo un ottimo disco, a tratti mostrava questo aspetto di eccessiva laboriosità, come se alcune melodie non scorressero nel modo giusto ma fossero menomate da una ritmica troppo lenta e costruita e da scelte di sound un po’ ripetitive.

Ecco, gli errori che potevano essere trovati nell’opera prima vengono del tutto superati dalla band londinese con l’uscita di questo sophomore. Strange Pleasures dimostra, sin dai primi pezzi, una maggiore consapevolezza nello stile e l’assenza di quel clima per certi versi cervellotico che aveva caratterizzato l’esordio. Sin dai primi incroci di chitarra e synth nel brano d’apertura The Trip, coi suoi sottili echi esotici e la voce di Tessa in ottima forma si sente il passo in avanti segnato da questo nuovo lavoro. E mentre Beginning To Blue si riavvicina all’opera precedente, I can’t sleep rallenta i toni muovendosi su ampi accordi di pianoforte e sugli splendidi gorgheggi della cantante. All I know è un pezzo un po’ blando e ripetitivo che non convince, mentre Fireflies, già uscito come singolo anticipatore, rimane uno dei più riusciti del disco, con i suoi motivetti orientaleggianti ed il suo ritmo incalzante e al contempo fluido. L’intro di Berlin Lovers mi fa venire in mente Grimes, probabilmente Oblivion, ma a parte ciò l’effetto non è male ed il brano, dal sapore estremamente pop, non passa inosservato. Future Age non è particolarmente memorabile ma si fa apprezzare, mentre Going Back To Strange, con la sua chitarra arpeggiata di sottofondo e la dolcezza del suo cantato crea un clima di intensa complicità e risulta un punto innovativo nello stile della band. Beatcity ha un retrogusto anni ’80 e dei crescendo vocali che mi hanno fatto pensare a Bat for Lashes e ai suoi inni sciamanici. Midnight Drive, secondo singolo del disco, non mi aveva entusiasmato allora e continua a non farlo, la base è troppo semplice e reiterata, e rende il tutto un tantino noioso. We Killed the Moonlight è minimale nelle basi strumentali ma la sua ritmica martellante ti entra in testa con successo, senza poi dimenticare i piccoli inserti di chitarra perfettamente combinati con l’insieme. Un tappeto di synth apre ad accompagna, infine, tutto il brano di chiusura, la title-track Strange Pleasure, per una conclusione onirica e trasognata.

Strange Pleasures è quindi un passo avanti per gli Still Corners, un momento di crescita che non rifugge le basi gettate da Creatures of an Hour ma le amplia e le sviluppa liberandosi di una certa rigidità iniziale a favore di un sound più libero e fluente.

Sub Pop, 2013

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