Storie di un libertino: Pier Vittorio Tondelli

pier vittorio tondelli

Quando Pier Vittorio Tondelli è scomparso (era il 16 Dicembre 1991) io avevo soltanto qualche mese e lui 36 anni. E questo pezzo non vuole essere uno di quei ricordi buttati lì, per caso, giusto perché ricorrono i 21 anni dalla sua morte.

Sulla terrazza del Bowling una seria noiosa e ubriaca, bere martini uno dietro l’altro prima vodka e poi gin, sentire le chiacchiere di un tizio sballato che ne ha passate di tutti i colori perseguitato com’è da un Burberrys chiaro. Una serata davvero vuota, le olive finiscono, il tizio che impreca e bestemmia e non gli basta scaricare la rabbia sui birilli, no deve pure rompere le palle. Guardo dalla vetrata di cristallo la città stretta nella notte. (da Altri Libertini, p.131, Feltrinelli)

Pier Vittorio Tondelli veniva da Correggio, dalle mie parti, da quei posti con la nebbia, con ancora i campi a fianco della tangenziale, e con, ogni tanto, delle persone di genio. Quelle parti che sono rosse non soltanto per il colore del Lambrusco o del sangue che ti tolgono le zanzare in estate ma, soprattutto, per la storia politica, anche se l’abbiamo un po’ dimenticato. Pier Vittorio Tondelli non era uno scrittore come tanti ce ne sono in giro, e non perché negli anni ’80 era in Italia quello che fu Kerouac per gli Stati Uniti negli anni ’40, ma perché dalle sue pagine si può ancora imparare qualcosa e, molti, dovrebbero farlo. E poi ci furono i giornali, la radio e il lancio della scrittura Pop italiana. Avere tra le mani uno dei suoi romanzi, che sia Rimini o Pao Pao, significa immergersi in scene sotterranee e silenziose, fatte di amore e di dolore, di miseria e di coraggio, alla costante ricerca di sé, in cui i personaggi riflettono la vita di chi li racconta. C’è l’Emilia e l’Europa, la grande città universitaria e la grande metropoli, c’è l’Italia del boom economico e quella da osteria. Tutto quello che fu Pier Vittorio Tondelli, artista nato in un piccolo paesino che fece suo il mondo con le parole, per poi andarsene troppo presto e lasciarci orfani di una voce profonda.

La scrittura è densa, forte, difficile da comprendere tanto che a volte necessita di una lettura approfondita, per tradurla in immagini e sentimenti. C’è l’asprezza e la verità degli esclusi, lui che di certo le passò quando Altri Libertini fu considerato immorale, la duplice essenza dell’essere amati nelle Camere Separate, la necessità di crescere, la totalità nell’esistenza di un uomo. Le pagine di PVT sono questo, odori di vite bruciate troppo velocemente, della sua e di quella che fu negli anni ’80 o, almeno, come immagino che fosse. Una letteratura che necessita fedeltà ed ascolto, prima che alla pagina, a se stessi. Leggere un romanzo è sempre un po’ guardarsi dentro, soprattutto se quello che c’è dentro è qualcosa, ancora, da interpretare. E, poi, c’è la solitudine: “Un giorno un amico gli aveva detto: ‘Non vado mai da solo quando mi invitano. È naturale che se si invita un cinquantenne come me a un pranzo, a una manifestazione o a un convegno costui vada con la moglie. Ora, io ho un compagno da venticinque anni. E da venticinque anni lui mi accompagna ai ricevimenti e ai convegni. È il minimo che dobbiamo fare: non permettere che ci invitino da soli” (da Camere Separate, p. 61, Bompiani). La solitudine di uno scrittore e di un uomo, dalle scelte difficili, dalla vita difficile in un’Italia che, ancora oggi, fa fatica ad inserirlo tra i ‘grandi’ della letteratura, non solo contemporanea. E, in parte, come fu per Pasolini, anche Tondelli perchè omosessuale, perchè troppo anticonformista, pagò, e lo paga ancora, il prezzo del suo talento,  in una terra che crea grandi artisti e poi li abbandona o, peggio, li sottovaluta.

Sulla mia terra, semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere.

Voglio ricordarlo così, Pier Vittorio, anche se non l’ho mai conosciuto, senza scrivere troppo di lui o dei suoi romanzi. Voglio ricordarlo in questa gelida serata di nebbia emiliana. Immaginandomelo come me, davanti ad una birra ed una sigaretta, a parlare di uno scrittore con cui avrebbe voluto prendere un caffè e chiedergli come abbiamo fatto a ritrovarci così, senza guide e senza maestri. Perché di uno scrittore come lui ne abbiamo ancora bisogno, ma bisogna leggerlo per capirlo.

Attraversare l’attesa
di Pier Vittorio Tondelli

Noi siamo i vinti
Noi che non sappiamo amare
E viviamo di sogni
E il tempo dell’illusione svanisce
lasciandoci tentennanti nel nostro dolore …
quello che il destino mi ha poi riservato
non è stato tanto come avrei creduto
un percorso o forse una evoluzione
verso l’assoluto della scrittura
e della finzione più alta
quanto un ritorno rovente
al mondo del mio primo libro
al punto da dividere
di quelli che hanno
in sostanza solo dei personaggi
coerentemente alla mia natura di scrittore
la stessa purtroppo vera e ora sì reale
vissuta sorte tanatologica.

(Manoscritti inediti di Tondelli, Diabasis)

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