Subterranean Voices #6: SARC:O

In questi giorni è uscito Finding Knowing Delight, ultima produzione di SARC:O, moniker di Francesco Sarcone, in cui si raccolgono sei brani elettronici ispirati all’estetica asimoviana. Anticipato dall’uscita sotto forma di mini-ep dei brani che lo costituiscono (The FindingThe Knowing e appunto, The Delight), andiamo alla scoperta di un nuovo mondo fatto di ingranaggi, linee di comunicazione elettronica e paesaggi che si estendono nel cyberspazio.

 

 

Questo album nasce da una ricerca precisa e si distingue per i suoi forti connotati robotici. Si tratta di un equilibrio instabile fra l’umano e l’elettronico, nelle ritmiche lineari ma in fondo con una vocazione che tende ad ampliare gli spazi. Com’è nato tutto? Quale direzione volevi dargli?

Quando ho iniziato il viaggio avevo in testa la frase di Asimov: «The true delight is in the finding out rather than in the knowing», non mi interessava tanto l’arrivo quanto il percorso, quello che volevo sperimentare era qualcosa di elettronico fatto “in sala prove”. Per anni ho lavorato da solo in studio e portato fuori uno spettacolo solista tutto fatto di macchine. Avevo bisogno di tornare a sperimentare il confronto e il contatto, così mi sono chiuso insieme a quella che oggi è la mia band in un posto sperduto nelle colline umbre e in due settimane abbiamo completato le bozze che avevo portato.

 

C’è una forte componente ‘retrò’ se così vogliamo chiamarla, ed è questo richiamo alla fantascienza anni ’60 e alla ricerca asimoviana sull’altro che non conosciamo.

È solo moda, se non ci metti un po’ di vintage non ti caga nessuno! No, scherzo,  è una questione di cultura: il disco vuole essere contemporaneo ma non incastrato nei trend del momento, quindi quello che senti è una ricerca di suoni, costruzioni armoniche e tematiche che pesca in uno spettro molto ampio di tempo e di spazio.
Trovi arpeggiatori alla Carpenter e accenni a ritmiche trap, testi ispirati a libri di 50 anni fa e da fatti recentissimi. Per esempio Sura Novi è il nome di un personaggio di un romanzo di Asimov, e We were Promised Flying Cars è una citazione bellissima di un articolo del 2017 che si lamentava di robot suicidi.

 

 

La produzione di Finding Knowing Delight è stata affidata a Emilio Pozzolini dei Port Royal, un tocco che si sente nella creazione delle armonie in cui la new wave si confonde con un certo tipo di elettronica. Com’è nata la vostra collaborazione e come ti ha aiutato a sviluppare questo tipo di direzione?

Emilio appunto è un uomo e un musicista di cultura, uno sperimentatore paziente che non lascia niente al caso… quindi siamo perfettamente allineati! È così che mi ha aiutato a creare quella pasta sonora che cercavo, mi ha aiutato a vedere oltre, a rimaneggiare i brani e mettere in discussione tutto. La collaborazione è nata da chiacchiere che abbiamo fatto dopo un suo live con Veyl, dove l’ho incontrato la prima volta. Poi gli ho fatto sentire i brani e… bam!

Abbiamo parlato di Asimov e fantascienza, ma quali sono le maggiori influenze che caratterizzano la tua ricerca musicale?

Prendi Blade Runner, mettici dentro i personaggi di Gomorra… se sopravvivi all’impatto hai visto quello che ho visto io! Se invece vuoi sentire quello che sento io, devi andare a un live di Apparat e appena torni a casa mettere su un disco dei Boards of Canada.

Presenterai per la prima volta il tuo album  il prossimo sabato al Circolo Tunnel di Reggio Emilia, insieme alla band come sarà suonare in questa versione dal vivo? Cosa ti aspetti dal pubblico?

Onestamente non lo so… spero muovano il culo principalmente, li vorrei con me ad agitarsi. Mi piace molto il rapporto con il pubblico, anche se non sono uno che parla sul palco, cerco di instaurare una comunicazione con le persone che vengono a sentirmi.

 

La musica elettronica in questi anni si sta sviluppando tantissimo nel nostro paese e, da evento di nicchia, ha rapidamente preso il posto di generi storici e tradizionali, segno del tempo che viviamo?

Penso proprio di si: cambiano i mezzi e le tecnologie per esprimersi, cambiano gli spazi e i canali, cambiano le espressioni artistiche. Credo fra l’altro il caso dell’elettronica sia particolarmente interessante, perché oltre a essere un genere (forse, boh, lo è?), è anche un modo di intendere la musica. Se ci fai caso sempre di più si mescola elettronica con il rock, l’indie, addirittura la classica e il jazz. Parlo di strumentazione, dai synth ai campionatori, ma anche e soprattutto di costruzione dei brani… il concetto di loop, l’ostinato, gli effetti che diventano parte degli arrangiamenti, oppure le ritmiche lineari e senza fili perché magari suonate da una macchina. Mi sento di dire che l’elettronica cambia il modo di fare la musica.

 

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