Nathalie Léger racconta Barbara Loden e la sua Wanda

Non metterci troppo sentimento. Questa raccomandazione deve essere stata ripetuta al telefono almeno mille volte a Nathalie Léger dal suo editore, mentre lei iniziava a studiare il materiale per mettersi al lavoro su una nota biografica dedicata a Barbara Loden. È una fortuna che poi sia andata a finire diversamente. Il risultato di tutto quello studio e di altrettanto amore si chiama Suite per Barbara Loden ed è recentemente arrivato in Italia per la casa editrice indipendente La nuova frontiera, nella traduzione dal francese a cura di Tiziana Lo Porto.

Avevo l’impressione di gestire un cantiere enorme da cui avrei estratto una miniatura della modernità ridotta alla sua più semplice complessità: una donna racconta la propria storia attraverso quella di un’altra.

Non tutti conoscono la storia di Barbara Loden e proprio Suite per Barbara Loden, quella che in origine doveva essere una nota biografica stringata, essenziale per un dizionario di cinema, è sicuramente un buon punto da cui partire per avvicinarsi alla sua vita e al suo lavoro.

Classe 1932, Barbara Loden è nata sei anni dopo Marilyn Monroe, lo stesso anno di Elizabeth Taylor, Delphine Seyrig e Sylvia Plath. A Marilyn, poi, somiglia tanto anche fisicamente e capita spesso che le carriere delle due si incrocino, come quella volta in cui Barbara ebbe la parte di Maggie in Dopo la caduta di Arthur Miller, personaggio chiaramente ispirato a Marilyn Monroe da cui il regista aveva divorziato nel 1961. Barbara o Candy Loden, come la chiamavano agli inizi, quando faceva la pin-up. Due matrimoni, il secondo con Elia Kazan, regista, produttore, uomo dello spettacolo. Per tutta la sua vita attrice, poi anche regista. Nel 1970, infatti, a trentotto anni dirige il suo primo e unico film, Wanda. Un film indipendente, a bassissimo budget, destinato a rimanere di nicchia per molto tempo.

“Wanda l’ho fatto per questo. È un modo per confermare che esisto.”

Wanda, il personaggio che Barbara Loden ha pensato per raccontare in qualche modo la sua vita. Wanda, che un po’ è Barbara. Wanda che è sicuramente anche Alma, Alma Malone, la donna sua coetanea a cui Barbara si ispirata per scrivere la sceneggiatura del suo film. Legge il giornale, si trova davanti un fatto di cronaca, l’ennesima rapina. Eppure c’era quella donna, complice, quella che si è trovata coinvolta forse per caso. Una donna che, ad un certo punto, sceglie di lasciarsi tutto alle spalle e lo fa davvero. Incontra un Mr. Fox che dev’essere proprio come il Mr. Dennis del film. I patti sono chiari: se il colpo alla banca fosse fallito, Mr. Fox prima avrebbe ucciso Alma e poi si sarebbe sparato un colpo in testa. Le cose vanno diversamente, Alma finisce in prigione, ma non muore.

Dal finestrino posteriore la strada scorre all’indietro. Wanda guarda il posto da dove viene e da cui si allontana senza riuscire a dare un nome a ciò che lascia.

Alma come Wanda, Wanda come Barbara, che si racconta, rappresentando così la sua vita sullo schermo. Da subito si vede Wanda che lascia la casa, lascia la famiglia e due bambini, un marito che si lamenta del fatto che lei non riesce a stare dietro ai bambini e alla casa, lascia una vita apatica in cui non si trova più. Scappa da tutto quello che le sembra troppo per lei, non ce la fa, ormai è rassegnata, vuole andarsene. Il marito la porta persino in tribunale, lei si presenta in ritardo e, sempre con rassegnazione, dice al giudice che se suo marito vuole il divorzio lei non ha problemi a concederglielo.

È solo per questo che Barbara fa film, Placare. Riparare dolori, curare l’umiliazione, curare la paura.

Wanda è il dolore, l’inadeguatezza. Wanda è la paura. Cercare riparo tra le braccia altrui, non trovarlo mai. Troppo apatica, troppo lenta al lavoro, non viene assunta per questo motivo. Non è nemmeno una buona madre, è scappata, sta ancora scappando. Si addormenta in un cinema. Le frugano nella borsa, le rubano il portafoglio. Si infila in un bar, deve andare in bagno. Qualcuno, un uomo, cerca di bloccarla, è chiuso, è chiuso. Lei si fa avanti lo stesso, chiede di andare in bagno. L’uomo è nervoso, conta i secondi che Wanda passa alla toilette, le urla contro. Quell’uomo è Mr. Dennis, sorpreso nel bel mezzo di uno dei suoi colpi. Wanda non può immaginarselo. Esce dal bagno, si siede al bancone, pilucca due patatine, non sai quello che mi è successo, dice. Cerca comprensione nelle persone che incontra per caso, Wanda. Cerca un po’ di affetto, facce amiche, amore forse. Non le troverà qui, non in Mr. Dennis. Non sa ancora quello che le succederà.

Cerco il suo volto smarrito nello sguardo triste di Wanda, dietro a quel modo esitante e disperato che ha di stare davanti agli altri, cerco tutto ciò che appartiene anche a Barbara.

Finisce con quest’uomo sempre sulla difensiva che le urla contro. Per lui, lei è arrivata al momento giusto. La sceglie come complice per un colpo grosso, quando anche gli altri uomini si tirano indietro. Wanda ha paura, ripassa la sua parte a memoria, ma si vede che è terrorizzata. Il giorno della rapina ripete non posso, non posso, non posso farlo. Inizia a stare male fisicamente, vomita. Mr. Dennis è terrorizzato all’idea di mandare tutto all’aria. La chiama per la prima volta per nome, più volte. Alla fine la convince. Il colpo si fa. Da qui in poi, il film e il fatto di cronaca a cui è ispirato diventano speculari.

Barbara Loden pensa alla sua Wanda come un modo in cui esprimere quello che si porta dentro, e ci riesce. Dal canto suo, Nathalie Léger si lascia prendere. Suite per Barbara Loden non è solo una nota biografica per un dizionario di cinema. È uno studio, è una ricostruzione in cui fatti, storia del cinema, aneddoti e testimonianze si intrecciano con le parole di Nathalie Léger in un racconto-fiume accuratissimo che restituisce finalmente un po’ di luce alla carriera di un’artista piena di luci e ombre: quelle della ribalta e quelle della sua vita privata e del suo mondo interiore.

Oltre all’immenso lavoro di ricerca compiuto da Nathalie Léger dal punto di vista più letterario, da quello cinematografico la riscoperta di Wanda si deve al restauro compiuto dall’UCLA Film and Television Archive per  Criterion Collection.

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