Sulle tracce e le note folk di f o l l o w t h e r i v e r | In anteprima il video di Among The Clouds

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Among the clouds – Live session

Registrato presso Phaser Studios (Seveso – Mb), a cura di Daniele Fasoli

Perdere la direzione e nonostante tutto ritrovarla. Che sia musicale o di vita, poco importa. E riuscire a fermare quel folgorio, quello in cui senti di trovarti al posto giusto al momento giusto, nelle cinque tracce di blankets & bumblebees di f o l l o w t h e r i v e r dove l’ambient e l’indie folk si rincorrono, arbitrate da un sound elettronico con una voce fuori campo che riesce da sola a riempire tutte le aree di gioco.

È quella del genovese Filippo Ghiglione e sua è l’idea di dare vita a questo progetto, nato nel 2014 come audiovisivo, che – e già si intuisce dal nome e dalla difficoltà di scriverlo – non punta di certo a essere scontato. Scegliendo di farlo nel segno della sincerità che trasuda dalle prime parole che aprono il lavoro. Cantate a cappella, senza suoni, come inizia Heavy Stone che, ed è il caso di dire che bisogna diffidare dalle apparenze, prosegue leggera e sottile nei suoi riff di chitarra che legano il flusso. Perché, proprio come un fiume da seguire, l’obiettivo del progetto è coinvolgere. Trasportare nell’intimità di un percorso che nella pubblicazione dell’ep, senza etichetta, ne trova definizione.

Ben lontani sembrano i momenti in cui Ghiglione, a 13 anni, fu vittima della folgorazione musicale ascoltando Communication breakdown dei Led Zeppelin. O quando, ai tempi del liceo si dilettava tra lezioni di chitarra e band pop rock, fino alla nascita dei Supernova e alla semifinale di Sanremo giovani. Un percorso comune a tanti artisti ma che per il 28enne, con un passato a studiare cinema e che di giorno lavora nel negozio di abbigliamento di famiglia, ha assunto un senso nel 2013. In quell’anno sono partite in cuffia le note di Re:Stacks dei  Bon Iver e la voce di Justin Vernon. Ed è proprio qualcosa di «incastrato tra il loro alternative folk e i beat minimali di James Blake» la risposta per spiegare il suo genere. Che ammette esser di nicchia, soprattutto nella realtà genovese che ancora si bea dei tempi d’oro del cantautorato.

L’ispirazione  continua con Nocturnal / / Interlude, già noto come singolo e conferma un’identità trovata. Dopo tentativi titolistici (river si chiamava il primo ep nel 2012, con l’etichetta torinese Sounday), linguistici – dall’inglese all’italiano e poi di nuovo inglese – e artistici, essendo tra i fondatori del collettivo Uga, si è concretizzata in una casetta sulle montagne valdostante. È lì che f o l l o w t h e r i v e r diventa un percorso in solitaria. Anche se sostenuto da diversi amici come Simone Meneghelli, Gabriele Pallanca, Adriano Arena, Marco Ferretti e Gianluca Patrito.

Il tutto un anno fa quasi, nell’estate 2018, dettaglio che regala al progetto un ulteriore forma di movimento. «I brani maturano con me e nonostante il tempo trascorra mi consentono di riflettere su quanto accaduto», racconta Filippo Ghiglione. Seguendo il fiume quando «perdo la direzione, e non sapevo dove andare a parare. Vivevo un momento in cui ero bloccato ma che, anche grazie a questo lavoro, sto riuscendo a superare. Mi sento più sicuro della direzione e il nome è un promemoria».

Una consapevolezza interiore e personale che si percepisce come rimedio a un periodo incerto, in ogni nota. Ma soprattutto nelle parole, come in City of silences, che proietta sulle montagne valdostane. E in Among the clouds dove chiede scusa a una persona cara «che però non sa nulla». E quella spontaneità che alimenta il progetto senza ambizioni mainstream, «per riuscire a mantenere il grado di onestà e coscienza di me stesso. So che avrò sempre bisogno della musica come terapia per sentirmi a mio agio e per dare vita a quel mio lato nascosto».

Con gli echi di Cobbletones si chiude un lavoro e si apre un percorso che si prepara, con l’estate alle porte, ad approdare sui palchi. Prima di tutto tra quegli amici che da spettatori sono diventati accompagnatori. Con il Release party al teatro Bloser di una Genova che «ha difficoltà a permetterti di entrare ma una volta che riesci a rompere la corazza, dà molte soddisfazioni».

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