Tutto l’incanto del mondo ne La Tartaruga Rossa dello Studio Ghibli

Dieci anni fa Hayao Miyazaki, il grande regista e disegnatore giapponese, s’innamorò di un breve film animato, Father and Daughter, che, nel 2000, aveva vinto il premio Oscar nella categoria Best animated short film. Due anni più tardi, Miyazaki riuscì a far entrare in contatto il suo Studio Ghibli con Michaël Dudok de Wit, regista e animatore olandese, l’autore di quel piccolo capolavoro di poesia in appena otto minuti.
Da quella collaborazione è nato, sotto la produzione proprio dello Studio Ghibli e della Wild Bunch, La Tartaruga Rossa, film d’animazione sui generis, osannato dalla critica e vincitore del Premio Speciale nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2016. La Tortue Rouge è un film di ottanta minuti, privo di dialoghi, se non qualche grido e qualche imprecazione lanciata dai suoi protagonisti.

Un naufrago, non sappiamo né chi sia né da dove provenga, riesce ad approdare, sospinto dal mare in tempesta, in una piccola isola abitata solo da piccoli granchi. Senza abbattersi e in uno spazio ridotto, il naufrago trova tutto ciò che gli è essenziale alla sopravvivenza, uno specchio d’acqua dolce, frutti succosi dagli alberi e legna a sufficienza per costruirsi una zattera. Per ben tre volte, durante la pesca si troverà a essere attaccato da una grande tartaruga dal carapace rosso, che distruggerà la zattera, ma lo lascerà vivo. Fino a che un giorno la grande tartaruga rossa si troverà spiaggiata sulla sabbia sotto il sole cocente.

Nulla di più possiamo dire sulla storia, tanto altro invece su un film che è davvero un prezioso viaggio dentro il cuore delle cose. Dudok de Wit concede pochissimo all’animazione per i più piccoli (forse solo i simpatici granchietti) e costruisce scena dopo scena, come in una successione d’incantevoli acquerelli, una storia che è, insieme, favola senza alcuna pretesa di verosimiglianza e parabola poetica della condizione umana. Tra paesaggi di rara bellezza che sembrano scorrere sullo schermo come fossero veri, Dudok de Wit scava con incredibile levità dentro l’animo umano, dentro le sue ferite, dentro la solitudine dell’uomo restituendo un film che è un’ode alla vita, alla bellezza, all’amore, ai rapporti umani, alla natura, al mare, al mondo animale, all’armonia. Non tace, non nasconde la violenza della natura, né il dolore e la morte ma, senza bisogno di alcuna parola, trasmette fortissimo, come raramente si è visto sul grande schermo, un senso straordinario di pace.

Anche attraverso la coinvolgente colonna sonora, firmata dal francese Laurent Perez del Mar, il regista olandese ci conduce letteralmente per mano dentro un mondo che, sicuramente, deve tantissimo all’estetica di ogni naufragio e di ogni isola deserta, ma, allo stesso tempo, da quell’estetica è capace di distaccarsi elevandola verso una sorta di poesia metafisica. Se paesaggi mozzafiato, immersioni tra le tartarughe e orizzonti sconfinati sono un incanto per gli occhi, è però nelle scene notturne che Dudok de Wit costruisce le immagini più incantevoli che, rifuggendo dal classico blu della notte, virano decisamente sui toni perlacei del grigio regalandoci notti di autentica bellezza. Ricavando, poi, dentro queste notti, uno spazio per la dimensione onirica, traccia labile come un’impronta sulla sabbia, di tutte le profondità umane.

La Tartaruga Rossa, film che fa dell’essenzialità e dell’equilibrio le sue cifre più forti, è una carezza sul viso, è una mano che passa ad asciugare le lacrime, è balsamo su cuori disordinati e angosciati che ci mostra come, nel profondo di quel mare, anche pochi attimi di bellezza siano capaci di restituire un significato all’infinito che non riusciamo più a cogliere.

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