Terry Reid, tra talento e possibilità perdute

“In Inghilterra ci sono solo tre cose interessanti: i Beatles, i Rolling Stones e Terry Reid”. È il 1968 quando Aretha Franklin pronuncia queste parole. Sui primi due qualche idea ce la siamo fatta. Ma chi è Terry Reid?

Un giorno suona alla porta di casa di Terry un tizio, gli dice di chiamarsi Carlos. Prima di farlo entrare Terry gli chiede di prendere un po’ di legna fuori da portare in casa. Dentro la situazione è conviviale, si mangia, si ascoltano dischi e si suona qualcosa. Ci sono amici brasiliani che il padrone di casa ha conosciuto all’Isola di Whight, al Festival. Anche lo sconosciuto che entra è brasiliano. Gli altri sono Gilberto Gil e Caetano Veloso. Gilberto Gil rivela a Terry che il resto del nome di Carlos è Jobim. Terry, oltre che tanta legna, per riscaldarsi ha consumato anche ogni suo disco.

Ma questo non spiega ancora l’affermazione di Aretha Franklin. Terry è un ottimo chitarrista e un talentuoso cantautore che però non ha mai avuto molta fortuna con i crocevia della storia, o più probabilmente ha tirato dritto per la sua strada. Però la storia l’ha cercato spesso offrendogli le vette più alte. A soli diciotto anni riceve la proposta da parte di Jimmy Page di diventare la voce della band che sta mettendo su. Ecco: poteva essere la voce dei Led Zeppelin, poteva esserci lui al posto di Robert Plant. Ma Terry dice di no. Vabbè, direte, nella vita succede di perdere un’occasione. A meno di un anno la storia si dimostra ancora generosa con lui, e Ritchie Blackmore, che sta mettendo su la sua band, propone a Terry di cantare. Rifiuti i Led Zeppelin e però rimedi con i Deep Purple, non male. E invece Reid dice ancora una volta di no, e spalanca il palco e il ruolo di frontman a Ian Gillian.

La storia, quella grossa del rock, l’ha vista da vicino anche quando con la sua seconda band, i Jaywalkers, ha girato il mondo aprendo le date dei Rolling Stones tra il ’68 e il ’69. E poi però ci sono i suoi album, che sottovalutati all’inizio per lo scarso riscontro commerciale, negli anni hanno sempre più guadagnato terreno fino a essere ristampati. I decenni successivi sono costellati di collaborazioni, anche importanti, perché tra musicisti, tra addetti ai lavori, di quel cantautore folk/blues, se ne conosceva bene il valore e il talento. Ma non sempre le cose volgono al meglio, e vivere tra poter entrare nella Hall of Fame del Rock, e portare le chitarre al Banco dei Pegni, è un’altalena vertiginosa.

Detto delle possibilità che Reid stesso non colse bisogna provare a comprendere come mai il suo percorso in quegli anni restò nell’ombra. È probabile che l’ubriacatura psichedelica proprio della seconda metà dei Sessanta, e in Inghilterra in particolare, che coinvolgeva etichette, radio e il pubblico stesso, abbia pesato e non poco sulle possibilità di tantissimi cantautori scoperti solo in seguito o diventati un culto assoluto, come è il caso di Nick Drake, che si muoveva esattamente in quegli anni e in quei luoghi. Fortunatamente con la musica si può ancora viaggiare nel tempo, e ritornare agli anni del giovane Terry Reid, per immergersi nel suono di quel folgorante esordio. Ad Aretha Franklin bastò ascoltare il suo primo album “Bang, Bang You’re Terry Reid” (1968), per innamorarsi di quella voce. Ma anche il successivo omonimo “ Terry Reid”, dell’anno seguente, e River del 1973, lasciano ben intendere, anche a distanza di anni, quale fosse il talento cristallino del giovane musicista inglese.

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