Che mondo sarebbe coi The Beatles?

a cura di Giuseppe Guidotti

Fa strano ascoltare un pezzo inedito di una band che, a conti fatti, ha interrotto la sua carriera oltre cinquant’anni fa. Ancora più strano perché non si tratta di un pezzo uscito da un archivio ma a tutti gli effetti di un nuovo brano, lavorato in tempi più o meno recenti. Considerando poi che dei Fab4 in vita, ahimè, ne sono rimasti solo due.

Sul processo e della storia che ci hanno portato ad ascoltare “Now and Then” non mi dilungo, ne sta parlando già chiunque. Anche se poi torno su un punto della questione. Ma concepire i Beatles oggi, nel 2023, non è facile. Si fa un gran parlare dell’utilizzo dell’AI nella produzione del pezzo e rispetto a questo tema, una delle frasi più belle che ho letto è proprio sulla tecnologia. Su come cioè un’intelligenza artificiale generativa non sarebbe mai stata capace di emulare i Beatles. Perché un’AI replica ciò che già conosce, mentre non riesce (almeno per ora) a costruire qualcosa in modo totalmente creativo e originale.

Ovvero: per un’AI sarebbe stato facile nel ’66 (ipotizzandone l’esistenza) pubblicare infiniti album sulla scia di Beatles For Sale o di Rubber Soul. Ma non sarebbe mai riuscita a immaginare Revolver o Sgt. Pepper’s. Questo perché una delle doti del quartetto di Liverpool è sempre stata la genialità nella sperimentazione. Quella dote unica di saper rendere alla portata di tutti qualsiasi cosa. Dal beat, al pop, dalle ballad ai principi di metal. Ogni tipo di sperimentazione venisse loro in mente. Si dice spesso: i Beatles hanno inventato tutto. Sono l’Eden della musica moderna, il giardino incontaminato dove tutto è nato.

 

Ma possiamo dire che “Now and Then” sia davvero un pezzo nuovo della band?
Se Ringo, John, Paul e George fossero vivi e attivi, oggi. Cosa suonerebbero? E soprattutto ci piacerebbe?

Probabilmente avrebbero sperimentato la musica elettronica, il vocoder, la trap e la drill sempre con la loro capacità melodica facendo sembrare tutto così facile e immediato. Forse sarebbero diventati una Intelligenza Artificiale loro stessi continuando a replicare un solco ben preciso. Non lo sappiamo. E forse è un bene.
Chissà se avremmo potuto ascoltarli solo su disco, come Mina. O se si sarebbero concessi qualche reunion storica. O se li avremmo visti ogni due estati al Firenze Rocks. Ribaltando il film “Yesterday”, chissà come sarebbe oggi un mondo in cui i Beatles non si sono sciolti, John e George sono vivi e la loro musica non si è mai fermata.

Non saperlo è bello. E non solo perché, come spesso si dice con un po’ di cinismo, per certi artisti forse è meglio così: morire giovani, sciogliersi al momento giusto. Bruciare in fretta piuttosto che spegnersi lentamente, appunto. Ma perché una cosa che mi fa sorridere di tutti i commenti che sto leggendo in queste ore è la presunzione di molti nel comprendere cosa siano stati i Beatles.
John avrebbe apprezzato. George sarebbe stato felice. In fondo all’epoca Paul diceva così. Lo abbiamo letto, lo abbiamo visto.

Della band più famosa del mondo sappiamo tutti quasi tutto. Eppure io continuo a pensare (e sperare) che non sia così. Una band che ha giocato con i suoi fan, una band fatta da ragazzini diventati in pochi anni più famosi di Cristo. Chissà cosa avevano in testa allora, chissà cosa avrebbero oggi. Ciò che crediamo di conoscere è solo quello che ci è concesso sapere, spesso passato da più livelli di filtro. Non ultimo quello di chi oggi c’è, è presente e può orientare, modellare, guidare certe cose.
E attenzione: non c’è nulla di male in tutto ciò.

Get Back è un documento straordinario. Onestamente una delle cose più belle e importanti, a livello artistico del nostro secolo, io credo. Ma è comunque una visione parziale di quello che erano in quei giorni, quei quattro ragazzi.
Non dobbiamo per forza capirli. Non dobbiamo per forza conoscere tutto e spiegarlo. Giustificare le nuove parole nel testo di John Lennon secondo una lente o l’altra.

E qui secondo me arriva il valore di questa nuova canzone.
Un brano che è esattamente ciò che ci aspettavamo dai Beatles pur con tutte le sfumature del caso. Non quello che sarebbero stati oggi, quello che erano e di cui ne avremmo ancora voglia e bisogno. Ma se non fosse così lo vorremmo davvero? Abbiamo davvero bisogno dei Beatles oggi o in un loop temporale infinito continuiamo a sperare che compaiano altri brani della band che tutti abbiamo amato perché la band migliore di sempre? Chiediamo questo ai nostri artisti? O a noi stessi?

In questo dubbio amletico Paul e Ringo ci danno una soluzione, regalandoci un brano di nuovo bellissimo, promettendoci una cosa importante: che sia l’ultimo. Da chi ha saputo prendere tanto dalla cultura orientale e costruire a suo modo quella occidentale un regalo impagabile, quello della fine. Di un punto messo alla fine di una storia meravigliosa che però non può ripetersi uguale a se stessa per sempre. Che deve, come tutte le cose, per forza, finire.
E lo fa nel migliore dei modi.
Grazie.

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