I The Jesus and Mary Chain suonano “Darklands” a Milano

Tutte le foto sono di Alise Blandini

Quanto fa strano, oggi, parlare di una band non italiana che chiude un tour europeo in Italia? Eppure è reale. L’Alcatraz è di nuovo (quasi) pieno per un evento internazionale. E anche se siamo tutti costretti a indossare una mascherina, lo sforzo vale la fortuna di poter rivedere dal vivo quegli eroi dei The Jesus and Mary Chain. La band dei fratelli Reid chiude da noi, il 13 dicembre 2021, il suo giro del Vecchio Continente per celebrare “Darklands”, secondo album di un’atipica ma già leggendaria carriera.

Noti per i loro live proverbialmente “brevi ma intensi”, gli scozzesi continuano all’Alcatraz la propria tradizione, suonando ben ventidue brani in poco meno di un’ora e mezza, senza molti fronzoli o smancerie di contorno. Jim Reid sale sul palco con la sua irresistibile spavalderia e la fa breve: «Immagino sappiate cosa faremo stasera. Suoneremo Darklands per intero, poi pausa di cinque minuti, e infine suoneremo molti altri brani!». Diretto, conciso, in qualche modo oscuro anche nel suo essere pragmatico.

E così lo show comincia, dalla title-track che nel 1987 sanciva un primo taglio netto con un esile passato composto da un solo, seminale album (“Psychocandy”, 1985). “Darklands” era ed è la ballata malinconica che inghiotte il rumore che la precede e la circonda, lasciando che un’angosciante desolazione pervada la stanza, sia essa una cameretta di un adolescente degli anni Ottanta o un club in Via Valtellina, nella Milano che oggi prova a riprendersi la musica dal vivo.

La tracklist di Darklands fila che è un piacere, in una folgorazione di circa 36 minuti. Il grande gusto pop della band rivive con fascino intatto, persino rinnovato, a circa trentacinque anni da quel primo bivio: cavalcare il chiassoso successo post punk del debutto o lanciarsi nella prima svolta artistica? La risposta venne da sé, quando i due fratelli, paladini degli shoegazer, si ritrovarono da soli in studio, con una drum machine al posto dell’ex batterista Bobby Gillespie (sì, la mente dei Primal Scream), e tante idee su come far suonare la loro inquietudine, di pari passo con quelle straordinarie intuizioni melodiche.

I cinque minuti di pausa sono fisiologici, per dare eco all’applauso – mai abbastanza caloroso – che sigilla il primo set della band. Al loro rientro i JAMC sfoderano un repertorio esplosivo, che va a pescare da ogni capitolo discografico, senza tralasciare qualche rarità come le b-side “Everything’s Alright When You’re Down” e “Up Too High”. Tocca infine ai due singoli “Just Like Honey” e “Never Understand” il compito di chiudere l’encore, lo show, il tour del gruppo di Glasgow e anche la brevissima stagione live dell’Alcatraz di Milano.

Chi non ha memoria dei primi Jesus and Mary Chain non può immaginarsi che suonino così, come l’irriverente macchina da feedback, acidità e distorsioni che nel primo decennio d’attività non faceva altro che creare scompiglio, litigare con la stampa e provocare sempre e comunque, ad ogni occasione. Oggi sul palco si presenta una band che sembra estremamente grata di essere ancora in attività e così amata, fiera di raccogliere i frutti di un percorso che spianato la strada a tanti, tantissimi progetti artistici successivi. Un gruppo che è un tassello fondamentale della storia del rock alternativo.


Exit mobile version