The Soft Cavalry – The Soft Cavalry

a cura di Fernando Giacinti

“A fresh start”. Così Steve Clark -chitarrista, sessionman, tour manager- definisce l’esordio omonimo del duo The Soft Cavalry. Insieme a lui sua moglie Rachel Goswell, un passato con gli Slowdive e un presente dedito a questo nuovo progetto così vicino e così lontano dagli anni ’90. I due si sono conosciuti nel 2014, quando Clark era il tour manager della reunion di una delle maggiori formazioni dello shoegaze. Un nuovo inizio perché Clark aveva ormai abbandonato il proposito di fare musica, mentre l’incontro con la Goswell gli ha donato una creatività del tutto nuova -oltre che un collaboratore d’eccezione.

I due singoli del disco, Dive e Bulletproof, illustrano fin da subito le coordinate dell’ascolto. Reminiscenze anni ’90, psych-pop stile Mercury Rev, crescendo post-rock la prima, utilizzo dell’elettronica, atmosfere notturne, tra Kills e Jamie XX la seconda. Tradizione e modernità dunque la cifra stilistica dell’album, con una scrittura elegante, a tratti barocca. Ne sono prova canzoni come Spiders o The Light That Shines on Everyone, dove melodie ombrose, quasi gotiche, si allacciano ad arrangiamenti classicheggianti, tra chitarre acustiche, pianoforte e archi. Episodi di folk manierista, quasi murder ballads, come Home, che parte come una ballata in stile ultimo Leonard Cohen per poi deflagrare (in un effetto piano/forte molto grunge) in una coda strumentale in crescendo piena di effetti di soundscape.

Ancora legata al grunge, ma sempre declinata in una dimensione eterea The Ever Turning Wheel: anche qui, si parte piano (con una melodia molto Alice in Chains o addirittura Foo Fighters) per poi abbandonarsi a una seconda parte strumentale esplosiva, materica e lontana allo stesso tempo. Ma i riferimenti agli anni ’90 non si fermano qui: in Never be Without You troviamo un pop-rock rilassato che richiama certo indie (Guided by Voices, Wilco), mentre il piano conturbante di Careless Sun richiama la prima ondata di r’n’b, quasi come un’Alicia Keys alle prese con harmonizer e vocoder. Più classica e confidenziale infine Mountains, ballata al piano che concede un attimo di respiro tra le spesse elaborazioni sonore del duo.

Un nuovo inizio quindi, per un duo che all’esordio dimostra tutta la maestria compositiva accumulata in decenni di collaborazioni, al servizio però di idee non così nuove. Le 12 canzoni del disco si distinguono per la ricchezza degli arrangiamenti, e per un suono classico nel senso letterale del termine, pur rimanendo, in molti casi, ancorate a stilemi e soluzioni che richiamano gli anni ’90. Non un’operazione nostalgia, sia chiaro, ma forse il riflesso naturale della formazione e delle carriere di Rachel Goswell e Steve Clark.

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