The New Abnormal | L’atteso ritorno degli Strokes

Gli Strokes potrebbero semplicemente vivere sulla scia di entusiasmo generata dal loro album di debutto Is This It. È sufficiente vedere la reazione del pubblico durante i loro live quando i cinque eseguono Last Night, Someday, New York City Cops, diventate ormai inno di una generazione. Gli Strokes hanno però sempre pagato caro il successo di Is This It, non riuscendo – secondo i detrattori – a riproporre, con le produzioni successive, la stessa impressionante qualità sonora. L’uscita del disco, nel 2001, suscitò negli ascoltatori una sensazione associabile alla scena di Ritorno al futuro in cui Marty McFly suona Johnny Be Good durante il ballo di fine anno, tra l’incredulità dei presenti: siamo nel 1955, l’invasione di Beatles, Rolling Stones e Kinks è ancora lontana, e il pubblico, improvvisamente investito da un’energia che non sa contestualizzare, resta sbalordito.

All’inizio degli anni duemila conoscevamo già la disarmante potenza del rock, ma forse – con la mente offuscata da melodie pop preconfezionate – stavamo per dimenticare l’effetto provocato da una chitarra distorta. Per questo, l’arrivo di Is This It colse chiunque impreparato, creando una sorta di idolatria nei confronti dei suoi autori: Julian Casablancas, Albert Hammond Jr, Nikolai Fraiture, Fabrizio Moretti e Nick Valensi. Grazie agli Strokes, New York tornò ad essere un fulcro di idee sonore, in una replica della scena anni ’70, quando un piccolo locale della Bowery chiamato CBGB divenne centro della rivoluzione punk.

The Strokes

Agli Strokes fu conferito il titolo di salvatori del rock, un ruolo pesante, che presentava non poco difficoltà: su tutte, mantenere le aspettative con il secondo album. In Room on Fire la band ripeteva il meccanismo alla base di Is This It: melodie semplici ed immediate, eseguite con frenesia nel rispetto della tradizione rock ‘n’ roll. È un album in cui l’influenza della scuola newyorkese di Television e Velvet Underground è forse ancora più palpabile rispetto al precedente lavoro, soprattutto in un pezzo come Reptilia che potrebbe appartenere di diritto al repertorio di Tom Verlaine e compagni. Gli Strokes giocano sul sicuro e non si spingono verso sperimentazioni, forse per paura, forse perché vista l’età, sono ancora attratti da un suono puro e non contaminato.

First Impressions of Earth è il primo passo verso una composizione più matura e ricercata. Gli Strokes guardano al futuro, mantenendo però quell’immediatezza che caraterizza la loro produzione. Se l’accusa fatta alla band è che i loro brani trovino spesso origine nella stessa idea, in questo disco, i cinque dimostrano una volontà di evolversi ricercando strutture sonore più complesse. La formula non è però ancora efficace e i pezzi che restano sono quelli che ricalcano la struttura dei precedenti: You Only Live Once, Razorblade e le frastornanti Juicebox e Heart in A Cage. Se con First Impressions of Earth, gli Strokes aspiravano a concretizzare il loro ruolo spogliandosi dell’ingombrante ombra di Is This It, l’operazione non riesce e l’album ne segna quasi la fine creativa. Non per molto però: Casablancas produce un album da solista, Moretti fonda i Little Joy e anche Valensi, Fraiture e Hammond Jr danno vita a progetti paralleli. Per anni, sembra che il capitolo Strokes sia definitivamente concluso.

Nel 2011 iniziano però a circolare voci di un ritorno della band con un nuovo album: la lunga attesa è interrotta da Angles, in cui gli Strokes abbandonano il sound dell’underground newyorkese, approcciando atmosfere che fanno eco alla new wave e guardano agli anni ’80. Angles soffre però di una mancanza di direzione precisa, con la voce di Casablancas che suona quasi distaccata rispetto al resto della band. Ancora una volta, sono i brani che non cancellano il passato, ma semplicemente lo reinterpretano, ad essere i migliori: Taken For A Fool, Gratisfaction, Under Cover of Darkness e Machu Picchu. Con l’uscita di Angles, gli Strokes si imbarcano in un lungo tour mondiale, che vede il pubblico accoglierli come eroi dell’Indie rock. Arrivano anche in Italia, con lo sfortunato concerto di Vigevano del 2011, quando i cinque furono costretti ad abbandonare il palco soltanto dopo un’ora a causa di problemi tecnici. Durante quel breve live però, risultava chiaro come, nonostante le non sempre convincenti prove discografiche, gli Strokes riuscissero ad andare oltre, dimostrando di essere una delle migliori band del pianeta. Era chiaro che per la storia del gruppo, la parola fine non era ancora stata scritta.

Con Comedown Machine del 2013, gli Strokes portavano avanti la linea sonora già esplorata in Angles, presentando una convivenza tra il loro ormai inconfondibile stile e composizioni decisamente influenzate dal synth-pop e l’elettronica, scelta forse voluta soprattutto da Casablancas, imbarcatosi in un percorso simile con il suo progetto parallelo The Voidz. Il viaggio degli Strokes proseguiva su orizzonti più rock nell’EP Future Present Past, uscito nel 2016. Nel vederli dal vivo, lo scorso anno al festival londinese All Points East, in piena forma e trascinanti come sempre, veniva da chiedersi cose avesse in serbo il futuro per gli Strokes: era forse arrivato il momento di congedarsi, come avevano già fatto da tempo i coetanei White Stripes, o andare avanti?

 

La risposta è arrivata con The New Abnormal: gli Strokes non hanno nessuna intenzione di ritirarsi e forse, hanno finalmente trovato la loro dimensione. È con questo album che i cinque raggiungono il risultato a cui aspiravano dall’uscita di First Impressions of Earth e in tutte le produzioni successive; creare una commistione tra i vecchi Strokes, quelli più garage rock, e i nuovi Strokes, che fanno dell’immaginario anni ’80 la maggiore fonte d’ispirazione (sottolineato anche dall’utilizzo di un’opera di Jean-Michel Basquiat come cover dell’album). In The New Abnormal la coesistenza tra chitarre e synth funziona perfettamente, creando un suono coerente e non frammentario come in Comedown Machine. Questo è percepibile fin dall’inizio con l’apertura di The Adults Are Talking e con la seconda track Selfless, più vicine al vecchio stile della band; con Brooklyn Bridge To Chorus, i cinque si spingono verso atmosfere new wave, per poi citare la super hit anni ’80 Dancing With Myself in Bad Decisions. Eternal Summer è invece decisamente indebitata con il sound degli Psychedelic Furs, di cui si avverte l’indiretta presenza in molti brani di The New Abnormal. È un mix di influenze e suoni che funziona, in cui gli Strokes sembrano aver ritrovato quell’entusiasmo per suonare insieme, che non si percepiva da Is This It.

Il pezzo centrale dell’album è lo psichedelico At The Door, interamente costruito sui synth e sulla voce di Casablancas, dove gli altri componenti del gruppo restano temporaneamente in attesa. At the Door evoca ambienti distopici, che, nell’ascoltatore, si traducono nell’immagine della città perennemente segnata dalla pioggia di Blade Runner. L’atmosfera cupa del brano torna nei testi di Why Are Sundays So depressing?, Not The Same Anymore e la conclusiva Ode To The Mets, in cui si avverte una forte malinconia, un’amarezza data dall’impossibilità di cambiare il passato e una certa nostalgia per quegli anni in cui il gruppo muoveva i primi passi sulla scena musicale newyorkese. Gli Strokes sono però cambiati e nonostante portino con sé frammenti del loro vecchio essere, ora guardano oltre: The New Abnormal ne è la prova.

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