The Subterranean Tapes: Febbraio 2017

Entrò Carla; aveva indossato un vestitino di lanetta marrone con la gonna così corta, che bastò quel movimento di chiudere l’uscio per fargliela salire di un buon palmo sopra le pieghe lente che le facevano le calze intorno alle gambe; ma ella non se ne accorse e si avanzò con precauzione guardando misteriosamente davanti a sé, dinoccolata e malsicura; una sola lampada era accesa e illuminava le ginocchia di Leo seduto sul divano; un’oscurità grigia avvolgeva il resto del salotto.

(A. Moravia Gli indifferenti)

Usciamo di venerdì 17, forse giorno inaugurale per raccogliere i pezzi di questo nostro sotterraneo sempre più gravido di cose che valgono la pena di essere scoperte.

COSMIC FALLS, Hyperrealistic, Vibe Records

1 febbraio

L’approccio alla musica elettronica di Cosmic Falls, moniker sotto cui si cela il polistrumentista Alberto Melloni, viene da esperienze lontane, dalla ricerca di campionamenti e modulazioni suonate, voci di richiamo e groove costanti che danno a Hyperrealistic una fisionomia imprevedibile e costantemente in evoluzione. Dall’introduzione dilatata di Kali, vicina all’ambient e a certe colorazioni dell’ultimo Bonobo, si passa alla più ritmata title-track, supportando nel suo aumento di bpm Tear Me Apart, viatico del passaggio successivo realizzato in collaborazione con Davide Tura, centro originario dell’album e, tutto sommato, testimonianza diretta di quell’approccio di cui parlavamo. Rough Seas at Night fa proprie le esperienze con un uso del piano sapiente, la struttura si approfondisce attraverso un’elettronica potente e la voce dolce, quasi neoclassica, proveniente dal nucleo intimo di Cosmic Falls. Oltre il collasso spaziale, dominati da un senso di dolce malinconia in questo mare invernale.
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TEN FÉ, Hit the Light, Some Kinda Love

5 febbraio

Questo primo trimestre del 2017 potremmo già dedicarlo ai Ten Fé e al loro brillante Hit the Light. Il primo full-lenght del duo synth pop londinese, nato dall’incontro fra Ben Moorhouse e Leo Duncan, è l’erede più diretto di certe sonorità post-disco degli 80’s (Wham!, Simple Minds e Duran Duran) e la sua componente più alternative (INXS e Smiths), tratto che più che essere nostalgico cerca di recuperare cioè che è stato per attualizzarlo, attraverso synth ed echos, alla nostra contemporaneità. Un esperimento simile a quello di Neon Indian che si declina, però, più sul recupero delle tendenze vocali e non esita, quando serve, a sfruttare influenze più shoegaze (Don’t Forget) e di stampo dream pop (Follow), nella direzione di un’appropriazione definitiva e personale del tema. Il risultato si trova nella coerenza del suo ascolto e nei sentimenti che si permette di creare, da un lato la malinconia di Elodie, dall’altro le atmosfere sognanti di una moderna Don’t You come è July Rain.
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WOPS, Il giorno onirico, Autoproduzione

10 febbraio

Sono serviti dieci anni ai romani Wops per completare Il giorno onirico, dopo un Ep nel 2012, in forte controtendenza con un mondo discografico che non aspetta e richiede una presenza costante di artisti che sfornano quasi un album all’anno. Ognuna delle dodici canzoni che lo compone è parte di queste riflessioni, di studi e ricerca del miglior modo per esprimere la propria identità, dentro e fuori il sogno, in quel momento dove realtà e illusione si confondono. I Wops sfruttano la linea onirica producendo un songwriting diretto e lineare che analizza il proprio tema e lo amplifica in innumerevoli stanze e situazioni, cambi improvvisi di ambienti, in cui il termine guida diventa l’alt rock degli strumenti, la guida del basso in Lady 88 o le ritmicità più folk di A me mi, sulle orme di un cantautorato fatto di strofe che si richiamano e si ripropongono per descrivere un ritratto di più identità in una sola. I cambiamenti musicali hanno, in fondo, lo stesso sapore imprevedibile di un sogno che si trasforma in un incubo o in uno spensierato volare, senza tempo o una necessaria ragione, così da La ballata delle mine si arriva alla più pop Lei mi dice, storie di saluti e di occasioni perse ben fatte.
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GIORGIO POI, Fa niente, Bomba Dischi/Universal Music Italia

10 febbraio

Giorgio Poi è un alieno. Ricondurre lo stile di Fa niente a una componente vintage o di recupero del passato, così come legarlo alla corrente evoluzione pop del nostro paese, sarebbe un errore. Giorgio Poi costituisce una variabile indipendente da tutto questo mondo, ci si accosta solo nello sfruttare lo stesso mezzo espressivo, facendo della scrittura, musicale e dei testi, un gioco del tutto personale in cui l’ascoltatore deve rintracciare i significati fra ciò che non dice e i suoi sottintesi, fra le improvvisazioni e le strutture sonore, nello stesso mistero di una poesia sanguinetiana. Il timbro vocale e l’esecuzione delle melodie convergono nello stesso orizzonte interpretativo, un giornale quotidiano pieno della meraviglia dell’invisibile e del sempre presente, elementi che da scontati finiscono per diventare fondamenta di ogni cosa, come ciò che trasforma l’acqua minerale in una sorta di totemico toccasana da discount, «un fragile soccorso, per ricominciare a lasciarsi andare, a volersi bene, a sentirsi bene». Non si tratta più dell’autocelebrazione post romantica dei Thegiornalisti o della poetica cupa e cosciente dell’ultimo disco de I Cani, Giorgio Poi è diventato un classico, senza essersene accorto.
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MR. ELEVATOR & THE BRAIN HOTEL, When the Morning Greets You, Red Cats Records

10 febbraio

Non serve molto per immaginarsi uno dei brani di When the Morning Greets You all’interno di una storia di Hunter Thompson o nei vizi di forma di Thomas Pynchon. Mr. Elevator compie un ulteriore passo nella tana del bianconiglio della psichedelia a quattro anni di distanza da Nico & Her Psychedelic Subconscious, accompagnato dai Brain Hotel, neanche a dirlo una versione distopica dell’Hotel California, strizzando l’occhio a tutti i precursori del genere, dalla strumentale pinkfloydiana Cosmic Bloom, a punte del periodo revolveriano dei Beatles, fino ai più moderni Tame Impala (Madeleine). Si tratta, però, di referenti ed echi lontani, punti da sfruttare per arricchire la propria idea musicale con groove ipnotici, distorsioni fuzz e dare unitarietà a questo risveglio dal lungo trip caleidoscopico che stiamo vivendo, con le sue punte estatiche (When the Morning Greets You) e di crollo (Are you Hypnotized?). When the truth is lie.. ogni cosa tende a diventere realtà.
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KEATON, S/t, Garrincha SoundSystem

17 febbraio

Sono passati quasi due anni da quando l’etichetta bolognese Garrincha (Lo stato sociale, L’Orso, L’officina della camomilla..) ha lanciato il suo doppelgänger SoundSystem, contenitore più legato all’ambiente electro che all’indie pop della casa madre, spazio di ricerca e sperimentazione che ha visto la pubblicazione di una serie di mixtape e di produzioni collaterali. Trovare questa dimensione in cui inserirsi è stato prolifico per i Keaton, al loro debutto sul full-lenght dopo un EP nel 2012 per Irma Records come Basterd Keaton. Di quell’EP è rimasta solo una parte del nome, perché col passare del tempo le sonorità si sono incupite e spogliate di quell’electro pop tradizionale che ne costituiva l’esordio per legarsi a una direzione più techno e minimalista nelle scelte che compie (come in Can You Do It Too? e Profusion), senza tralasciare parti della propria storia in comune che rendono il tessuto musicale più sognante come nel caso di Stare o attraverso le vocalità eteree de La rappresentante di Lista in Not With You. I Keaton riescono in questo modo a raggiungere il loro obiettivo creando un disco fresco e complesso, che coinvolge sia per il suo lato dancefloor che per la ricerca sul genere.
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M U T O, Independent, Prismopaco Records

17 febbraio

Se si potesse creare un profilo dell’abitante del sotterraneo, per come lo intendiamo noi, tutto corrisponderebbe a M U T O, oscuro producer di cui non si conosce praticamente nulla ma che, nel suo esordio Independent, descrive un ambiente industrial, fatto di sentimenti e ritmiche mai dome. Anticipato dal singolo Aria e da una cover di Crystalised degli XX, M U T O non dà tregua al suo ascoltatore, lo fa precipitare in un vertiginoso susseguirsi di beat e sensazioni che lo avvolgono fino a depredarlo della propria identità. Assorbimento e adesione totale al sonoro, quella di Winternet, mentre lo spettro di Loser assorbe tutti i colori e restituisce un panorama completamente modificato. Il nero, quello del buio, non è necessariamente negativo, o portatore di dolore, se impari a conoscerlo. M U T O ha questa capacità, trasformare suoni duri e ostili in brevi fiabe sulla catastrofe, fra i residui di ciò che abbiamo perso e che dolcemente ci accostiamo ad ammirare.
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BUCKINGUM PALACE, Macedonia, Xo / Cabezon Records

17 febbraio

Cercheremo di essere il più coraggiosi possibile, per una questione di potenzialità, non tanto per predicare nel deserto. Saremo diretti, nell’EP Macedonia dei Buckingum Palace ci sono alcuni difetti tecnici, ma non intaccano le nostre intenzioni. Quello che ci interessa è raccontare il modo in cui si approcciano a una materia ostica quale è il math rock, soprattutto quando si tinge di derivazioni più indie e post grunge. La passione giovanile con cui questi tre ragazzi affrontano la loro quotidianità e la buttano giù ha il sapore dell’incoscienza, della necessità espressiva che tanto abbiamo cercato di nascondere alla ricerca della composizione perfetta, dimenticandoci il posto da cui siamo venuti. I Buckingum Palace, figli di una rabbia giovane ancora tutta da esplorare, scindere e rinnovare, si mettono alla prova nel gioco del giudizio degli altri e, soprattutto nelle parti strumentali, reggono il confronto e ci rendono curiosi su quello che ci sarà dopo. Lasciamoli crescere, pezzi come Dallo spazio, non possono che farci intravedere una direzione che vogliamo approfondire.
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FUKJO, Quello che mi do EP, autoproduzione / Sounday

28 febbraio

Il noise nevrotico dei Fukjo si inspessisce della propria esperienza, Quello che mi do è una Siberia stellare, più che cupa alla ricerca di una strada, di uno spazio, per uscirne e liberarsene. Un passo ulteriore rispetto a Wasabi del 2014, in stretto contatto con la propria materia e una maturità trovata, abbandonando le proprie influenze per esprimersi al massimo, come succede in Saturno contro, pezzone classic rock che non mostra esitazioni o cadute, in fondo una decisione presa, o un ricordo lontano di cui non pentirsi più. Il suono prende i tratti dell’alternative, lo dissolve per interpretare le radici da cui ripartire nella favolesca Amorevolmente che lo inaugura, l’espressione muta, attraverso testi che a volte prendono la strada dello screamo (Quello che mi do) o si fanno improvvisamente sussurrati per creare un’ulteriore dimensione illusionistica. Il materiale di questo EP si condensa nelle sue sei tracce, consumato dall’ascolto e dalla struttura che si congela nella finale Nord fino a prendere il volo nel gelido spazio della ghost track, un ultimo saluto prima di perdersi di nuovo di vista.

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