The Velvet Underground di Todd Haynes

Fin dal suo primo cortometraggio Superstar: The Karen Carpenter Story, Todd Haynes aveva dimostrato una predisposizione per un tipo di cinema incentrato sulla musica; nella filmografia successiva il regista aveva affrontato la nascita del Glam rock in Velvet Goldmine e decostruito l’inestricabile Bob Dylan in I’m Not There.

Non sorprende quindi che la Universal Music abbia scelto Haynes per realizzare un documentario sui Velvet Underground; perché se un autore più tradizionale avrebbe approcciato con difficoltà l’universo visionario di Lou Reed, Haynes immortala la storia dei Velvets con un linguaggio da cinema sperimentale che rende il materiale a disposizione vivo e travolgente. Servendosi di split screen e immagini frenetiche, il regista ricostruisce l’energia creativa che si respirava a New York verso la metà degli anni ‘60, quando autori indipendenti come Jonas Mekas e Jack Smith dirigevano film in rottura con la tradizione. Ed è da questo fermento culturale – che trovò origine nella Filmmakers Cinemateque e nelle composizioni avanguardistiche di John Cage e La Monte Young – che emersero i Velvet Underground.

Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Moe Tucker vengono introdotti attraverso gli screen test di Andy Warhol. Il più noto artista pop ebbe un ruolo fondamentale nella storia dei Velvets; come produttore, affiancò ai quattro membri del gruppo la cantante Nico, già conosciuta per aver recitato ne La dolce vita. Grazie ad una voce immediatamente riconoscibile, Nico donò ulteriore fascino a canzoni come Femme Fatale, I’ll Be Your Mirror e All Tomorrow’s Parties. La presenza di Andy Warhol durante le registrazioni di The Velvet Underground & Nico determinò inoltre la libertà creativa della band; se non fosse stato per Warhol, il celebre “banana album” avrebbe forse suonato in maniera diversa.

E invece, il disco, frutto dell’incontro/scontro tra il geniale Reed e l’avanguardistico Cale, continua ad essere sconvolgente nel suo inarrivabile mix di euforia e terrore. Basta ascoltare le note iniziali dei brani che Haynes ha incluso nel film, Sunday Morning, Venus in Furs, e la meravigliosa e altrettanto disturbante Heroin, per ricordare quanto queste canzoni siano state fondamentali per chiunque si sia mai sentito solo ed incompreso: “Ero diverso dagli altri” spiega il fondatore dei Modern Lovers, Jonathan Richman, “poi un amico mi ha fatto ascoltare i Velvet Underground e ho pensato, ecco, loro potrebbero capirmi”. Attraverso canti velati di oscurità, i Velvets riescono a far intravedere la luce; è la forza ipnotica della loro musica, definita da Reed come “quello che ascolteresti mentre fuori infuria la tempesta”.

 

Una tempesta che colpì anche il gruppo; dopo il secondo album White Light/White Heat, i Velvets si ritrovarono senza John Cale, licenziato – come Warhol in precedenza – da Reed. Il problematico Lou desiderava il successo, ma per produrre album più accessibili doveva liberarsi delle ambizioni avant-garde di Cale. Giunto a New York dal remoto Galles, John Cale si era inserito nell’ensemble del compositore minimalista La Monte Young, e aveva incontrato Reed quando il futuro Velvet scriveva canzoni per la Pickwick Records.

Nonostante l’arrivo di Doug Yule in sostituzione a Cale, i Velvets non conobbero mai il vero successo; il gruppo suonava anacronistico rispetto alla musica del periodo flower power: “Odiavamo i Mothers of Invention” spiega Moe Tucker. Vestiti completamente in nero, i Velvets stonavano nella colorata California, e, anche se avevano un seguito nella loro New York, per Reed non era abbastanza. Durante una serata della residency a Max’s Kansas City, Lou non si presentò sul palco, lasciando così la band; ma, come ricorda Haynes alla fine del film, la storia di Lou Reed e dei Velvet Underground non finì certo quella sera.

Oltre alle testimonianze dei restanti membri John Cale e Moe Tucker, i Velvets sono raccontati attraverso i contributi di Jonas Mekas (a cui è dedicato il film), Jonathan Richman, Danny Fields, John Waters, e l’ex Warhol superstar Mary Woronov. Ai loro volti, sono giustapposte le immagini d’epoca di Nico, Gerard Malanga, Edie Sedgwick, e Allen Ginsberg, in una sinfonia distorta di luci e personaggi che ha come palcoscenico New York.

“I Velvets erano fieri di essere fuori dal sistema. Oggi non c’è nessun margine grigio su cui sperimentare”, ha ammesso Haynes. Eppure, il regista ha realizzato un film per chi crede che quel margine grigio, da qualche parte, esista ancora. O che almeno riesce a trovarlo nella musica dei Velvet Underground.

Exit mobile version