Therese ci presenta Federico Falco: Silvi e la notte oscura

Il contesto dell’Indie Book Day si presta magnificamente a introdurre l’intensissimo primo libro tradotto in italiano di Federico Falco, Silvi e la notte oscura, che a dispetto della bella copertina e del titolo suggestivo non è forse uno di quelli che più facilmente riesce a emergere tra gli scaffali affollati. Se non ci fosse stata SUR a tradurlo e distribuirlo, affidandolo alla sapiente mano di Maria Nicola, e se una delle più interessanti e presenti tra le librerie indipendenti di Torino che hanno fatto rete nel consorzio COLTI, la deliziosa Libreria Therese di Vanchiglietta, non avesse invitato Falco e non avesse promosso l’evento con tale zelo, ci saremmo probabilmente persi un libro di cui ci si innamora pagina dopo pagina sempre di più, mancando l’occasione di conoscere uno dei più interessanti autori contemporanei.

Silvi e la notte oscura è una raccolta di cinque racconti, e di Falco si apprezza già in partenza la scelta di definirsi in quanto autore di racconti. Si tratta di una scelta piuttosto coraggiosa, quella del racconto, genere da tempo rimasto fuori dalle classifiche dei libri più venduti, nel bizzarro mondo degli scrittori massimalisti in cui ci troviamo, tenuto insieme dal paradosso che se da una parte il pubblico dei lettori si assottiglia sempre di più – Falco stesso parla di una scelta “marginale”, quella di chi continua a leggere letteratura – è la narrativa breve il genere più a rischio di estinzione.

Per fortuna che di Americhe ce ne sono due, e che quella meridionale si è presa parecchie rivincite di fronte al mainstream degli Stati Uniti proprio a partire dal racconto breve. Leggendo uno per uno i cinque racconti contenuti nel volume – oltre a quello che dà il titolo, Le lepri, Un cimitero perfetto, che da il titolo all’edizione originale, e poi La vita dei boschi e Il fiume – Falco sembra collocarsi in realtà al centro di questi due mondi letterari, all’incrocio tra le strade battute da Raymond Carver e Jorge Luis Borges, Ernest Hemingway e Julio Cortàzar. Nonostante nessuno di questi nomi sia citato dall’autore, che piuttosto tra i suoi riferimenti fa il nome di autori più giovani della letteratura argentina nonché, a sorpresa, quelli di Natalia Ginzburg, di Cesare Pavese e di Elio Vittorini, incontrati nelle cerchie di amici scrittori pure loro di origini italiane, come accade a buona parte degli argentini.

Quarant’anni appena compiuti e già dall’età dei trenta segnalato dalla prestigiosa rivista Granta come uno dei migliori autori in lingua spagnola, Falco mantiene di fronte agli intervenuti stipati nella saletta l’atteggiamento dimesso, semplice, lineare che emerge dalla sua scrittura piana e generosa di dettagli, quando seduto tranquillo tra Martino Gozzi, che conduce l’incontro, e Giulia Zavagna, editor e traduttrice per SUR che si presta come interprete, ascolta le domande in italiano e risponde nel modo più preciso in lingua spagnola.

Se sono la semplicità e la linearità della scrittura, le prime cose che ci conquistano dell’autore, a rendere piuttosto unica l’esperienza della lettura dei suoi racconti è la capacità di trasmetterci un senso di durata che di solito attribuiamo ai romanzi: i personaggi restano insieme a noi anche nel momento in cui chiudiamo il libro, continuiamo a tenerne a mente le vicende, comprendiamo le loro numerose sfaccettature e siamo conquistati dalla loro profonda umanità. L’altra grande caratteristica che ci affascina di Falco è la sua attenzione alla natura, ed è abbastanza bizzarro parlarne a Torino, tra vialoni e controvialoni asfaltati e battuti costantemente da vetture di varia tipologia e cilindrata, tanto che l’autore stesso si dichiara sorpreso di scoprirvi bellissimi spaccati naturali tra i palazzi, che si arrampicano sulle colline fuori dal centro.

Anni di studio della botanica spesi nella facoltà di agraria, prima di intraprendere la via della letteratura, hanno infatti trasmesso a Falco la necessità di procedere nel racconto con una minuziosa descrizione di specie animali e vegetali, con un’attenzione unica alla scelta delle specie da inserire nei boschi e nelle pinete in cui i personaggi si avventurano. In una mappa per The Catcher, i Cartografi Letterari della Scuola Holden hanno contato 64 specie vegetali e un numero di animali presenze animali che va oltre il centinaio. I personaggi che incontriamo nei suoi racconti – il re delle lepri, Silvi, l’ingegnere Bagiardelli, Mabel e Wudrich, la signora Kim – sembrano usciti da un mondo dimenticato dalla letteratura europea contemporanea: vivono su uno sfondo comune in cui si consuma l’opposizione tra il mondo della natura che lotta per la propria sopravvivenza e quello dell’uomo che cerca di sopraffarla, in cui i personaggi prendono posizione in modo diverso. Infatti, se in una storia incontriamo chi abbandona il paese per immergersi totalmente nei ritmi naturali, come il re delle lepri, nell’altra seguiamo le vicende di chi cerca di riconfigurare la natura secondo disegni umani, come accade in Un cimitero perfetto. In La vita dei boschi invece assistiamo allo smarrimento di chi è preso in pieno da questo scontro tra due mondi, sfrattato dal bosco in distruzione per favorire l’insensato avanzare della civiltà.

In questo scenario, queste figure marginali descrivono storie di vita e di morte: quella di Silvi, un’adolescente irrequieta che scopre la propria sessualità mentre continua ad assistere sua madre, addetta alla distribuzione dell’estrema unzione ai malati del paese per conto del prete troppo vecchio; quella dell’ingegner Bagiardelli che si trova a progettare un cimitero volto a ospitare il sindaco di un paese il cui padre centenario sembra davvero poco intenzionato a lasciarsi morire. C’è inoltre una certa attenzione alla modalità con cui le diverse comunità distribuite nei paesini che sembrano ricostruire un unico contesto intorno alla cittadina di Cordoba si adoperano a convivere in questo crogiuolo di culture: i locali diffidenti, gli orientali che hanno importato sogni impossibili da concretizzare nei propri paesi, un gruppo di mormoni provenienti dagli Stati Uniti in cerca di proseliti, nonchè lo stesso Bagiardelli che si confronta con l’ostilità del paesino di fronte all’ingegnere che viene dalla città. E poi c’è un’abilità pittorica a dosare luci e ombre per tratteggiare i caratteri dei personaggi, anche quella piuttosto unica, soprattutto se consideriamo che Falco è molto miope da un occhio, e dunque si è trovato a osservare il mondo da una posizione diversa da quello di chi ci vede bene con due, come non manca di sottolineare, nonostante, curiosamente, l’autore sostenga che la qualità più importante per uno scrittore, che è quella che lui insegna nei suoi corsi di scrittura, sia proprio quella di guardare. E c’è tanto, tanto altro, da sfogliare pagina dopo pagina, in questo libretto così piccolo e così intenso.

Le foto sono state fornite dalla Libreria Therese.

 

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