La musica li fa e poi li accoppia | Tony Allen & Jeff Mills alle OGR

Avete presente quelle coppie che vedete camminare per strada mano nella mano e che, come le coppie dei blockbuster collegiali statunitensi, non possono fare a meno di farvi pensare: chissà cosa ci troverà l’una nell’altro. Coppie assurde, apparentemente opposte che sembrano far fatica a intavolare un discorso. Ecco, sabato 22 settembre alle OGR di Torino abbiamo assistito al primo appuntamento fra una coppia musicalmente improbabile costituita dal re dell’afrobeat Tony Allen e dal dj che detiene lo scettro della techno made in Detroit, Jeff Mills.

In occasione del festival Africa Now, improntato alla riscoperta della musica africana con il dichiarato scopo di far suonare lo stato dell’arte di un Paese che, pur dando tutto per la musica, difficilmente riesce a varcare i confini italiani, i due musicisti hanno fatto sfoggio del neonato progetto a una settimana di distanza dall’uscita del loro primo album, Tomorrow Comes the Harvest. Il pubblico delle Officine Grandi Riparazioni si è trovato di fronte a tre spotlight che illuminavano la batteria di Allen, la consolle angolare di Mills e le tastiere che hanno accompagnato la strana coppia nel loro flusso di coscienza musicale che non ha subito interruzioni per l’ora e quaranta di durata del concerto.

Il live è subito diventato esperienza musicale dai primi beat che Mills ha lasciato andare nell’aria, nei colpi della drum machine che si univano, fondevano, contrastavano con la batteria di Tony Allen, che ha dato sfoggio della sua tecnica mostrandoci quanta musica può nascere da un semplice charleston se le bacchette che lo suonano hanno l’anima del batterista nigeriano. Inutile negarlo, la musica di Tony Allen e Jeff Mills è stata spiazzante, ci ha posto di fronte a qualcosa di difficile comprensione sulle prime. Ma la chiave per entrare nella musica dei due era a nostra disposizione: i musicisti ci invitavano a lasciarci andare a noi stessi e a far penetrare la loro musica nei nostri pori, saltando ogni dogana del pensiero.

Foto di Giacomo Mondino

La musica continua, senza un calo, senza pause, fatta per spiazzare chi come noi non condivide le radici africane di chi era sul palco. Come la eco delle grotte di Marabar di Passaggio in India di Forster sconvolge le turiste inglesi invase dalla forza dell’India, dalla sua energia, dalla sua estraneità rispetto al rito del tè, il ritmo ripetitivo, labirintico, sciamanico del duo ci ha costretti a un’esperienza africana straniante e meravigliosa. Non c’era una direzione e neppure una meta nelle armonie intessute sul palco e i sorrisi, che i musicisti si scambiavano in continuazione, sigillavano l’eterno costruirsi in fieri della musica che arrivava al nostro cuore e si fondeva con il suo battito. Cenni di capo, segni di attesa, via libera, soddisfazione, tutto manifestava una libertà nell’improvvisazione che si può maneggiare così bene solo se si mastica la musica ai livelli dei due veterani.

La creazione continua del patto musicale tra i due, come tante mani che ogni secondo si stringono a saldare un’amicizia ci fa vedere dietro le apparenze e ci fa capire che è davvero troppo superficiale farsi quella domanda quando si vedono due persone innamorate. L’amore di Jeff Mills e di Tony Allen per la musica e soprattutto per le loro origini, per i loro legami, emerge ogni secondo e fa da collante tra stili diversi, tra generi diversi, tra musica analogica e digitale. Il jazz si fonde con la techno, il timpano con la drum machine e poco importa che i beat di Mills sembrano prendere il sopravvento in qualche momento perché basta un fill di Tony Allen per tornare su ritmi tribali e virare su un assolo in pieno stile jazz.

La combinazione sapiente del diverso ha fatto sì che il progetto si manifestasse come qualcosa di più di una semplice somma di parti. Non si tratta solamente dell’armonia del contrasto ma del livello più alto raggiunto dalla musica di entrambi. Il piegarsi dell’elettronica di Jeff Mills ai tempi del jazz, agli stop per lasciare spazio alle bacchette di Allen, non ha comportato mai una forzatura o un semplice “fare spazio”, ma una vera e propria integrazione musicale. Allo stesso modo, la classe di Tony Allen non si perde nell’attesa, nella riflessione, nella meditata aggiunta a una base campionata che potrebbe non stancarsi mai di suonare sempre uguale a se stessa. Il batterista nigeriano si limita a fare da contrappunto, creando in maniera consapevole quanto sapiente delle melodie contrastanti, una sorta di polifonia apparentemente dissonante ma che con il tempo si scopre perfettamente integrato nel sistema ritmico che i due musicisti creano di volta in volta.

Foto di Giacomo Mondino

L’argomento in comune che permette un piacevole proseguimento della serata e che permette all’appuntamento di filare liscio senza intoppi e imbarazzi è rappresentato dall’esplicito richiamo alla propria cru. La Nigeria e Detroit non sono mai state così vicine e riescono a comunicare benissimo fra loro senza che una delle due sia costretta a fare un passo indietro. Avanzano assieme, spavalde e strafottenti. Non arretra di un centimetro lo stile da club industriale della città dei motori che sgorga dai canali della strumentazione di Jeff Mills: il minimale, la deep house, il beat ipnotico.

Non si ritrae la forza delle radici africane di Tony Allen, delle cadenze tribali, dell’improvvisazione, del richiamo alle origini della storia, del linguaggio musicale di un intero Paese, linguaggio che per Mills ha rappresentato una bussola essenziale per caratterizzare il proprio stile musicale. La gioia del fare ha provocato un crescendo nel pubblico che si è lasciato travolgere e ha abbandonato i propri freni, lasciandosi andare a una danza sempre più coinvolgente e carica di forza e passione.

La fine del live ha rappresentato una sorta di risveglio per chi era sotto l’incantesimo del duo e la voglia di ritornare in quello stato di trance cosciente ha fatto sì che venisse invocato il bis di un live memorabile e musicalmente rivoluzionario. Mai ci saremmo potuti sentire più a nostro agio nell’essere spettatori di un appuntamento galante che pur non comprendendoci ci ha visti diventare protagonisti.

Foto di Giacomo Mondino


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