Tra tutte le epoche cosa abbiamo fatto per meritarci questa?

© Matt Weber

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lessing01Ieri è stata una giornata esemplare per rispondere alla domanda: tra tutte le epoche cosa abbiamo fatto per meritare proprio questa? È morta Doris Lessing, scrittrice dal temperamento post-moderno che nel 2007, tra le altre cose, ha vinto un Nobel per la letteratura. Non mi è mai stata particolarmente simpatica, la Lessing, ma tra tutti gli aggettivi con cui avrei potuto qualificarla non mi sarebbe mai saltato in testa di iniziare da gattara. Eppure sembra che sia stato uno degli elementi biografici essenziali dei vari coccodrilli che si sono susseguiti: del resto si sa come funzionano certe cose, la speranza di accumulare click in rete è direttamente proporzionale alla presenza dei gatti negli articoli (nda – per questa ragione trovo del tutto inspiegabile quando i click della rete arrivano su pezzi in cui evitiamo accuratamente la parola gattini, e troverò altrettanto inspiegabile se questo pezzo non dovesse diventare il più visitato del mese). Premesso questo, stiamo parlando di una scrittrice, e a tal proposito raccontiamo un aneddoto, ovvero quando Doris decise di inviare un diario ad alcuni editori sotto lo pseudonimo di Jane Somers. Ovviamente, cosa volete che succeda?mille rifiuti e stroncature, e solo in un secondo momento, quando esce allo scoperto come Doris Lessing, il libro è acclamato e pubblicato, diventando Il diario di Jane Somers di Doris Lessing. Cosa vuol dire questo aneddoto? Nulla, comparato alla contemporaneità in cui siamo invischiati. Ovvero alla talent-showizzazione dello scrittore. E non ho nessuna intenzione di fare moralismi e bacchettonismi sulla contemporaneità, e il vecchio mondo, perché non credo che vivessimo meglio in un’epoca senza elettricità, al buio, col fuoco da accendere a tarda sera, e senza la possibilità di arrivare in America. Non stiamo parlando di questo, eppure provo un certo disagio rispetto a quello che il mondo pretende da noi oggi. O comunque ai mille modi in cui pretende di prenderci per il culo: vedi l’equazione, un lettore si conquista scrivendo la parola gattini. Io non credo che sia così, e forse nutro semplicemente un inutile ottimismo come Candido che crede al migliore dei mondi possibili, però continuo ad avere una certa fiducia nella qualità e una certa diffidenza nelle trovate sensazionali, se così vogliamo definirle.

Ma andiamo all’altra faccenda, ovvero al talent show per scrittori su Rai 3, Masterpiece. Un talent show non è necessariamente un male. Se uno deve cantare e ballare o suonare o fare un’imitazione e via dicendo, stiamo parlando di uno spettacolo, ed è abbastanza semplice capire al volo se quel modo particolare di cantare o ballare ci piace oppure no. Se, per esempio, ci troviamo ad un live dei Local Natives sappiamo subito se quell’esibizione ci sta trasmettendo qualcosa, se ”comunica”. Però non tutte le attività umane si prestano alla dimensione live, a meno di tentativi artistici o installazioni o happening o reading/slam poetici: prendiamo ad esempio un falegname, è veramente impossibile giudicare se stia facendo un buon lavoro o meno mentre lo sta facendo, e comunque non riuscirebbe mai a farci capire se è un buon falegname in un’oretta di lavoro live, figuriamoci con tempi televisivi intramezzati da interviste alla famiglia. Per questo mi spiace vedere come veniamo presi per il culo dal tentativo di un talent show sulla scrittura, che porterà alla realizzazione di un romanzo. Al di là del fatto che gli scrittori in generale non amino le telecamere mentre stanno scrivendo, non voglio entrare in tutti gli stereotipi possibili, però c’è da dire che scrivere non è spettacolare come fare un’imitazione alla Corrida (è piuttosto una tortura noiosa, volendo). Il talent show per cantati pop ha senso, come nel caso di Marco Mengoni, perchè si tratta di cantare canzoni, non posso arrivare a capirlo se si tratta di un Pinco Pallino che vuole pubblicare un libro attraverso la televisione. Ma non è nemmeno questo il punto: ammettiamo che Pinco Pallino sia il Marco Mengoni della letteratura, cioè arriverà a pubblicare letteratura pop. Ci sta. Il vero problema è dove cazzo sono gli scrittori veri in Italia, e con che tipo di degenerazione dovremo lottare in futuro.

Lo dico da persona profondamente innamorata delle parole, e con una specie di venerazione, in certi casi, per racconti o romanzi: ci tengo davvero che nel 2050 esistano libri che varrà la pena difendere, articoli che varrà la pena scrivere, e che non tenteranno associazioni fantasiose coi gattini per conquistare consenso in rete. Quando parlo di altre epoche, parlo di una certa sincerità di quei momenti storici: per esempio della sincerità del punk, o della new wave, o del tentativo di verità di scrittori che scrivevano non per diventare Pinco Pallino, ma perchè non potevano farne letteralmente a meno (al di là della passione per i gatti, anche Doris Lessing è stata tra queste persone). Immagino che sarà sempre più faticoso per tutti resistere alla tentazione della scorciatoia, scegliere di essere Marco Mengoni è molto più semplice di cercare di adattare la propria bella voce alla musica che cerchi di scrivere da solo, portarsi dietro uno strumento e attraversare l’Italia per quattro soldi, piuttosto che esibirsi in una platea piena. Però è uno sforzo che dovremmo provare a fare quotidianamente, per salvare il mondo dall’essere un grande fake.

Tuttavia non si dirà: i tempi erano oscuri ma: boh!? (Bertold Brecht remix 2013)

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Postilla. Prima che qualcuno inizi a storcere il naso, e a cercare di ricordarmi che il mondo non funziona così (che brutta parola, funziona), e che bisogna scendere a certi compromessi; prima che l’arte del commentatore più dissidente di tutti si faccia viva, o che il libero pensatore avaro di commenti pensi che io stia qui a vendere fumo; vorrei fare delle postmesse. Andy Warhol è stato un gran paraculo pure lui, anche nel suo bel tentativo di costruire i Velvet Underground, richiamando Nico dall’Europa per sedurre più facilmente la scena underground newyorkese, o anche solo con l’artwork di copertina dei V.U. Lou Reed e John Cale avevano comunque scritto un pezzo della storia del rock in maniera geniale, e anche se tutto il resto fosse servito a vendere quell’album, o abbia contribuito a crearne una mitologia o un fascino, ciò non toglie che loro fossero profondamente appassionati e sinceri nello scrivere e suonare. Io credo che questo finisca sempre per uscir fuori alla fine. Quindi, non sto dicendo di evitare il lavoro di Andy Warhol, ma magari di capire, prima di mettersi in affari con lui, se stiamo davvero parlando di un Warhol o di un suo fake (uno di quelli da ”quindici minuti di celebrità”).

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