Ty Segall – Emotional Mugger

copertina di ty segall emotional muggler

Non importa quanti critici e fan lo adorino, non importa quanti consensi e una base di fan fedeli possa raggiungere, Ty Segall ha sempre mantenuto le distanze dai modelli prestampati dall’industria musicale. Il ventottenne californiano è stato un collezionista di dischi sin dall’epoca dei CD, un figlio dei ’60 e del garage rock dei ’70, del glam, del punk e del metal, testimoniato da alcune rughe che portano il segno degli albori del rock. Se pur la sua musica sia condizionata da sapori antichi, Segall riesce a rispolverare antiche sonorità per farne di nuove, condendo il tutto con la sua voce graffiante e i suoi assoli alla J Mascis.

Con Emotional Mugger, primo album solista dal 2014, anno di uscita dell’ambizioso Manipulator, ha enfatizzato la sua potenza musicale come non mai, cancellando le aspettative per un nuovo capolavoro. I lavori di Segall, negli ultimi dieci anni, sono la dimostrazione che fare musica è l’unica ricompensa per alcuni artisti, e nel corso di 11 canzoni e 38 minuti, Emotional Mugger incarna quella passione come nessun album prima d’ora.

La sua musica nel corso degli anni è diventata sempre più accessibile a tutti gli ascoltatori, ma con Mugger, presentato ai giornalisti, vistosamente sorpresi, sotto forma di un VHS dove l’artista appare nei panni del dottore e fondatore di un fantomatico istituto deputato al procacciamento di emozioni, inverte la rotta. È un ritorno verso le più rumorose radici del garage rock che già avevano segnato il suo omonimo esordio nel 2008 e Lemon nel 2009. L’album suona come un inferno pieno di cose divertenti da fare, e Segall ne ottiene in abbondanza, con l’aiuto di ottimi interpreti, come il produttore F. Bermudez, Dale Crover, batterista dei Melvins, Mikal Cronin e King Tuff.

Una serie di fattori rendono Emotional Mugger un album decisamente ribelle, come la schizofrenia di Segall, le chitarre distorte e le canzoni piene di satira nei confronti dell’epoca attuale.Una centrifuga che regala cavalcate come Diversion, l’impasto organo-chitarre-batteria quasi stomp dell’iniziale Squealer, la centrifuga noise-psych di California Hills con i versi irresistibili che cadono in buche rumorose. Ci sono poi, qui e là, segni di slancio in avanti, come la batteria dal suono metronomico della traccia che dà il titolo al disco o la chiusa The Magazine, con una sezione ritmica dal suono quasi industrial trafitta poi da un battimani assassino.

Nonostante l’iper-produttività, Segall ci regala un altro maestoso disco. La verità è che la penna del californiano, sotto la scorza urlante di distorsioni e rumori, sa regalare momenti coinvolgenti e spesso leggeri.

Uno spasso, fino alla prossima pubblicazione.

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