U2 – Songs of Innocence

L’uscita del nuovo disco degli U2 si è già meritata un posto tra gli argomenti più discussi di questo 2014. Il web, si sa, è spietato e allora la critica frivola da social network, la geniale comicità della rete e le recensioni delle testate più importanti in ambito musicale hanno contribuito all’hype di un non-evento. Si, perché il primo annoso problema è che siamo tutti in fila a parlare di quanto ci stia sulle palle il fatto di ritrovarci un disco che non vogliamo sul nostro telefono e quasi nessuno accenna al prodotto musicale in sé.

Andiamo con ordine: Songs Of Innocence è stato registrato tra Dublino, Londra e gli Stati Uniti e dal 9 settembre è presente in forma totalmente gratuita in tutti i dispositivi Apple. Una strategia di marketing (studiata nei minimi dettagli da Guy Oseary, già al servizio di Madonna) che sta a metà tra quanto fatto da Byoncé (una pubblicazione di un album a sorpresa e senza i classici due/tre mesi di preavviso e pubblicità serrata) e i Radiohead (il famoso pay what you want di In Rainbows). La principale differenza però sta nel fatto che un’operazione così invasiva non ha precedenti. Si, perché fin quando il tuo disco è online e scaricabile gratuitamente siam tutti felici ma trovarsi un album sul proprio I-phone, I-pad e via dicendo, non è proprio un’operazione simpatia. A questo va aggiunto che ovviamente gli U2 sono stati pagati in anticipo dalla Apple, il New York Times parla di cento milioni di dollari. Ma il dato che gira sul web e che, se confermato, farebbe capire quanto questa mossa sia stata controproducente è quello che afferma che dei 500 milioni di utenti raggiunti da questo regalo ingombrante, solo 200.000 hanno deciso di scaricare Songs Of Innocence. Tanto che la Apple, qualche giorno fa, ha rilasciato un’applicazione con tanto di spiegazioni su come eliminare il disco dal proprio dispositivo.

E le canzoni? Ecco, appunto. Le canzoni scivolano via in quel vuoto che caratterizza il gruppo da più di un decennio, da quel All That You Can’t Leave Behind che conservava ancora una certa classe nei suoni, nei testi e negli arrangiamenti. Da lì una discesa ulteriore con numeri da capogiro grazie a tour imponenti ma gran parte del live è fatto dal passato, poi la partecipazione a Glastonbury, una sorta di morte del cigno di un gruppo che sicuramente ha scritto pagine importanti della musica contemporanea e che, fino ad un certo punto, si è saputa rinnovare. Siamo al solito barocco che stanca ben presto (Iris, e la prima parte dell’album) con lampi di buona qualità di scrittura come nel caso di Every Breaking Waves e The Troubles. In quest’ultima la partecipazione di Lykke Li dà un tocco di maggiore profondità al pezzo.

Quindi? Quindi siamo alla classica situazione in cui ti ritrovi un regalo indesiderato che non puoi riciclare, una di quelle cose che dimenticherai presto e senza pensarci due volte. Ovviamente discorso a sé è quello dei fan storici della band, per adesso però quell’innocenza che compare nel titolo è un ricordo sbiadito di una bandiera bianca su di un palco e quattro ragazzi che urlavano di domeniche insanguinate. Di innocente, dietro una mossa di marketing così imponente, c’è ben poco. E poi c’è un punto fondamentale in tutta questa faccenda: io preferirei pagare per avere un disco che mi piace e non trovarmi tra le mani dati e meta-dati da cancellare. L’errore più grande in tutto questo polverone è che, non appena quest’ultimo si dirada, rimane una domanda: ce n’era davvero bisogno?

 

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