Un Padre, pt.2

II. Re-ac-tor, Neil Young.

Dentro alla scatola non c’era granché, una collezione di quattro o cinque vecchi vinili impolverati, una foto di sua madre che lo stringeva appena nato e un paio di cuffie Majestic nere e grandi, che da bambino non gli stavano neanche in testa e doveva tenersele strette alle orecchie perché non gli cadessero. Dall’ultima cosa che gli lasciava suo padre si aspettava qualcosa di più, una lettera almeno, come quei testamenti dei film che facevano litigare le famiglie, ma suo padre non era una vecchia pazza che lasciava tutto al suo chihuahua Polly, o al maggiordomo di Belli e dannati, lasciando gli eredi soli e a bocca asciutta. Non c’era neanche un testamento, nelle poche cose che rimanevano in casa si era limitato ad attaccare un post-it con scritto sopra il nome del destinatario. Ed era così per le padelle con scritto Veronika, il frigorifero per Massimo e i profumi che sarebbero andati a Carlo “l’impomatato”, l’amico gay di suo padre che Tomy non vedeva dalla sua partenza. Sulla scatola c’era semplicemente il suo nome scritto a pennarello, e non il soprannome con cui si faceva chiamare, come se suo padre avesse fatto una cernita di tutte le cose che dopo la sua morte sarebbero servite a qualcun altro. Ma nessuna lettera, aveva telefonato quel Massimo del frigorifero dicendogli in uno sbiascicato accento, che Tomy a malapena comprendeva, che si erano già messi d’accordo per tutto e che non ci sarebbe stato bisogno di avvocati o notai, che suo padre aveva già pianificato da anni come sarebbe dovuta andare quell’ultima sua faccenda. Nella solitudine cercava di allontanare la fine scherzandoci sopra, ma lo avevano preso sul serio, lo prendevano sempre sul serio e la parola aveva ancora un valore in quel posto. Pensandoci bene Tomy si accorse che non sapeva nemmeno com’era morto suo padre. In astinenza dal fumo si accese una sigaretta nel salotto, mentre spulciava i dischi dentro la scatola. L’occhio, e la cenere, gli caddero subito su quello dalla grafica rosso acceso. Come d’istinto aprì quel vecchio giradischi con cui aveva speso tanti pomeriggi della sua infanzia, prima che arrivassero i walkman e i cd. Le cuffie Majestic ora gli stavano, non c’era più la poltrona bordeaux che si litigava con il padre anni prima, regalata a chissà chi. Seduto per terra fece partire quel vinile dalla copertina mezza rovinata dagli anni di cattiva manutenzione.

Who’s driving my car? / Who’s driving my car now? /Who?

Re-ac-tor di Neal Young, anno di pubblicazione: 1981. Testi enigmatici e sconnessi, musica fra il punk e il rock d’annata, la paralisi celebrale del figlio, il disco che non canterà mai in un live e che verrà ristampato soltanto tanti anni dopo, mai compreso fino in fondo dalla critica e dal pubblico. Era il 2006, l’anno dopo la maturità, Tomy ringiovanito e pieno di speranze, Neil Young l’aveva scoperto da poco proprio con quel vinile quando Sam, la sua ragazza dell’epoca, l’aveva scovato fra le cose di suo padre e gli aveva regalato la versione cd per il compleanno, anche se aveva sempre preferito il vinile. Il cd suonava dentro e fuori i finestrini di una macchina lanciata sull’autostrada verso il mare. Portava una camicia a fiori slacciata e un paio di pantaloni corti, gli occhiali che non aveva più indossato, squadrati secondo la moda del momento e le sue mani stringevano precariamente il volante. Sam sedeva al suo fianco, su quella vecchia Lancia Y10 scassata e che aveva sottratto ai nonni con l’inganno. Portava un paio di shorts e il reggiseno soltanto, agitandosi fuori dal finestrino ripetendo ossessivamente, con il suo inglese, i testi della canzoni. Le sue piccole mani si alternavano fra lo stringere la gamba destra di Tomy e portarsi alla bocca uno spinello. L’eccitazione li costringeva a sudare per non perdere il controllo prima del loro arrivo, il caldo faceva il resto.

Illustrazioni a cura di AN.

Hang ten pipeline, let’s go trippin’ / Hang ten pipeline, let’s go trippin’ /Hang ten pipeline, no way rockin’ /Every wave is new until it breaks.

Arrivati all’hotel economico che gli aveva prenotato l’amica di Sam, che veniva da quelle parti, non avevano avuto nemmeno il tempo per riprendersi dal viaggio o disfare le valigie che già si erano buttati sul letto, strappandosi i vestiti di dosso e stropicciando tutte le coperte così accuratamente lasciate dal servizio. C’era puzza di piscio in quella camera, ma quando se ne accorsero quella che doveva essere la hall era già chiusa. Poi si erano cambiati e si erano diretti al mare per prendersi l’ultimo sole, l’unico che la pelle bianca di Sam potesse sopportare senza bruciarsi. La corsa per buttarsi nel mare, gli schizzi salati che gli facevano chiudere gli occhi, la rabbia quando al loro ritorno sulla sabbia avevano scoperto che tutto quello che avevano lasciato incautamente sulla spiaggia gli era stato rubato, comprese le ciabatte. Sam si era così incazzata che aveva minacciato Tomy di non scopare più con lui e gli aveva tirato uno schiaffo: «Bastardo inutile, ci siamo fatti rubare tutto!» gli aveva urlato sbattendo la porta e lasciandolo fuori dalla stanza, come se fosse stato lui a chiedere di rubargli quella camicia a fiori che amava tanto.

So your girlfriend slammed the door shut / In your face tonight, but that’s all right / Then she took off to the opera / With some highbrow from the city lights / Well, you grew up on a corner / You never missed a moonlit night.

Poi la corsa da un spaccio alimentari lì vicino per farsi scusare con una bottiglia dell’unico vino che si poteva permettere e Sam che si scioglieva fra le sue braccia in lacrime cercando di scusarsi a sua volta, rinunciando alla minaccia che gli aveva fatto prima. Ancora le coperte per terra, le risate, il silenzio fra di loro e il respiro affannato all’arrivo del reciproco orgasmo. Di nuovo fuori, nel piccolo centro pieno di famiglie e luci accese a festa, ubriachi e pieni di attrazione avevano fatto fatica a trovare la strada del ritorno e Tomy si era procurato quella cicatrice che ancora era visibile sulla mano destra tentando di rompere la finestrina accanto alla porta perché avevano perso le chiavi. La mattina dopo si erano svegliati presto e con il mal di testa, uno fra le braccia dell’altro, e, sperando che il proprietario non si accorgesse dei danni che avevano fatto, avevano preso la macchina e se n’erano andati. Avevano cambiato posto dormendo la notte successiva sui sedili della Y10, vicino al mare, tra il freddo e le risate per la loro pazzia giovane e senza pensieri. Era stata una piccola vacanza piena di emozioni, come lo è la prima volta per tutti, anche se poco dopo la loro storia finì come un proiettile che andava perso chissà dove in mezzo alla trincea.

Think I’ll get back on the highway / I hope I’ll see you soon /Get back on it, get back on it

Anche se era superficiale dirselo, Tomy si ricordava dopo tanto tempo di quella vacanza, dispersa nella sua memoria fino all’arrivo della prima traccia del disco. E così aveva ricordato qualcosa di nuovo, che prima non ci sarebbe mai arrivato. Era passata più di un’ora ed era come se quel disco rinchiudesse da solo quella strana storia fra Sam e Tomy. Chissà dov’era finita, con chi, cosa faceva in quel momento, se anche lei quando risentiva Re-ac-tor pensava a quei tre giorni folli, pieni di alcol e sesso, intrisi della loro inconsapevole giovinezza. Quel disco sembrava proprio parlargli, aveva pensato quel giorno mentre ritornava a casa e nessun’altra canzone era stata ascoltata in quella macchina. Neil Young era diventato loro complice senza saperlo né, tanto meno, chiedendogli il permesso.

Men / Are trying to move the borders on the ground / Lines between the different spots that each has found / But back home another scene was going down / In the night.


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