Un Padre, pt.5

V. So Tonight I Might See, Mazzy Star.

Fuori aveva preso a nevicare e si era già fatto buio. Il posacenere non conteneva più le sigarette che avevano reso l’aria irrespirabile, Tomy si era coperto come poteva per non smettere di ascoltare quella musica che l’aveva riportato a casa. Nello scatolone non restava che un ultimo disco, quello più appariscente e più inaspettato, o forse Tomy sperava soltanto fosse così. E non era tanto per la copertina, un violetto sfuocato che disegnava strane forme, facendo a malapena leggere l’artista e il titolo dell’album, ma perché mai avrebbe pensato di trovare un disco del genere dentro alla ristretta collezione del padre. Non a caso era ancora impacchettato, come se chi l’aveva comprato si fosse pentito una volta uscito dal negozio di dischi ma non avesse avuto la forza di farselo cambiare. O forse era stato un esperimento che poi era rimasto a impolverarsi nella sua collezione senza che qualcuno lo ascoltasse. Nessuno lo poteva sapere, non Tomy, troppo piccolo per poter avvicinarsi al giradischi, e non sua madre, poco avvezza alle novità del momento. La targhetta del prezzo, di quelle bianche con le due righe rosse alle estremità, segnava ancora ventimila lire. In fondo quel disco era la grande metafora che attorniava quel mistero che era suo padre, pensò Tomy. Una confezione chiusa dentro cui non si sapeva cosa c’era dentro, presa un po’ per caso, come la sua nascita in quella determinata famiglia in quel determinato posto in quel determinato momento, con una coltre di polvere così spessa da rinunciare a qualsiasi voglia di toglierla o scartarla e vedere cosa c’era dentro. Una volta per tutte, però, Tomy voleva guardare quel testamento non scritto e, probabilmente, nemmeno pensato dal padre, e vedere cosa c’era dentro. La voce di Hope Sandoval non era esattamente quella che avrebbe scelto per descrivere suo padre, ma chi siamo noi per deciderlo? Si chiedeva Tomy nel silenzio di quella casa ormai vuota, chi siamo noi per decidere quale sia la voce giusta per descrivere il cuore di un altro?

 

There’s a world, / Outside my doorstep / Flames over, everyone’s heart / Don’t you see them shining, / I want to hear them / Beating for me.

 

Cosa sappiamo dei nostri padri e di quelli che li hanno preceduti? Com’erano i nonni con i nostri genitori? Cosa voleva dire essere giovani, che ne so, trenta anni fa? Tomy non sapeva rispondersi. Aveva passato gli ultimi cinque anni a chiedersi se non fosse nato nell’epoca sbagliata, in maniera dannatamente italiana, senza potersi vivere appieno l’unica esperienza di vita che poteva sentire, la propria. Se n’era andato, svuotato di speranze e di futuro, per costruirsene uno nuovo, con le proprie mani, rifiutando agi e compromessi, sicurezze e quotidianità, come altri avevano fatto prima di lui, senza però poterlo scegliere. Non sapeva ancora se ne fosse valsa la pena. Non era un vincente, questo era chiaro, la tiratura del suo primo romanzo non aveva raggiunto le mille copie, e la metà stavano ancora ad ammuffire nel magazzino di qualche distributore. Non era riuscito a tornare da suo padre con un libro in mano, dimostrandogli che aveva torto, che poteva farcela, che tutto quello che avevano passato era stato utile per qualcosa e lo sarebbe stato per qualcun altro. Ma non era così. Il suo primo romanzo, come l’ultimo, mancava di realtà, di sentimento e di valore. Era una storia troppo sofisticata per apparire reale, troppo poco banale perché qualcuno ci si potesse riconoscere davvero. Pagava il prezzo di quelli che c’erano prima e con cui si era confrontato ogni giorno, volendo diventare un Proust o un Auster aveva perso di vista l’essere Tomy. Come per dimostrare a suo padre che quello che avevano passato non sarebbe stato dimenticato da nessuno aveva inventato altri mondi. Non era così diverso poi, da quello strano padre, mai amico, a cui aveva sempre portato un rispetto tale da vergognarsi di parlare di quello che sentiva, delle proprie aspirazioni e di chi era. Che il posto nell’azienda che aveva contribuito a formare per dare un futuro a Tomy non gli sarebbe bastato. E anche Tomy si rendeva conto di aver contribuito a formare la polvere che attorniava quella plastica che custodiva preziosamente quel vinile nero come la pece.

 

I could feel myself growing colder / I could feel myself under your fate / Under your fate / It was you breathless and tall / I could feel my eyes turning into dust / And two strangers turning into dust / Turning into dust.

 

Tomy non si sentiva in colpa, non si sentiva di avere sottratto qualcosa a suo padre, anche ora che se n’era andato faceva fatica a sentirsi più vuoto di quanto non fosse già. Certo, non aveva più possibilità di riparare agli errori, di parlargli di quello che faceva ma non era certo che, se fosse stato ancora in vita, l’avrebbe fatto. Gli insuperabili se e ma che costituiscono la vita di ciascuno erano soltanto tappe di un percorso che si era conformato per quello che era appunto a causa loro e, Tomy, accettava quello che aveva, non tornava indietro e, tanto meno, poteva vivere di passato e di rimpianti. Quando sei costretto a vivere senza contare sull’accettazione di qualcuno eviti anche di porti il conto dei rimorsi, in maniera essenzialmente egoistica, per andare avanti devi scontare quello che ti è dovuto da quello che ti devono gli altri. Tomy era solo, non aveva più una famiglia, ma era anche punto di inizio di una nuova. L’accorgersi di questa potenzialità aveva strappato il primo sorriso della giornata, era tutto da rifare, come Tomy aveva sempre fatto. E non era Merthe, e non era Sam, e tutte le altre. Non era Angela. In qualche modo suo padre aveva vissuto sempre con quella volontà di ricongiungersi con quello che aveva perso e se non l’aveva fatto prima era per Tomy, per quel senso di responsabilità padre figlio che spesso suona come un rimprovero. Una volta finito quel rapporto suo padre non aveva più ragioni ed era rimasto comunque attaccato alla vita aspettando il ritorno di suo figlio, vivendo in funzione di qualcosa di nuovo, una nuova attesa. Ma quanti Natale aveva dovuto passare in solitudine. Tomy era anche quello che l’aveva lasciato solo, decidendo di lasciarsi solo.

 

Help me walk with you, To the sky that we see / Shuddering in myself, in-my-self / Oh where / Oh when / Oh well / Sweet Mary of Silence.

La notte si era sostituita al giorno, Tomy aveva perso il conto delle ore e dei dischi, forse perché ricordare era l’unico modo per sentirsi di nuovo a casa, anche se l’unica persona che poteva essere casa non c’era più. E si ricordava, in certi momenti, delle carezze quanto mai rare e fugaci che suo padre gli aveva dato. Quel primo giorno di scuola, quando non conosceva nessuno e l’aveva portato fino davanti al portone per sistemargli la giacca, o quando gli aveva chiesto di andarsi a bere una birra la sera dopo la morte di Angela ed erano rimasti in silenzio entrambi sul bancone del bar, ormai consci che avrebbero dovuto contare l’uno sull’altro. Non si erano mai detti addio, nemmeno quando Tomy aveva preso quella porta, ormai scolorita dal tempo, per avventurarsi in una strada che l’aveva portato lontano, almeno geograficamente. Non c’erano più, uno se n’era andato, con l’idea di poter tornare, da vincente, l’altro se n’era andato e basta e fino a quel momento non sapeva chi aveva avuto più coraggio. Non si erano mai presi bene, è vero, ma non potevano odiarsi o immaginare di non essere mai esistiti. Era tardi ma quello scatolone lasciava a Tomy un’ultima indicazione. Suo padre sapeva o, perlomeno, contava sul fatto che lui avrebbe tratto qualcosa dal suo contenuto. Che non sarebbero bastate le sue scuse o i rimorsi per farlo tornare a casa, nemmeno la fine della crisi economica gli avrebbe permesso di credere in se stesso, suo padre lo sapeva, ed era rimasto in silenzio tutto quel tempo, lasciando prendere a Tomy le sue strade sbagliate, lasciandogli fare i suoi errori, senza chiedere nulla in cambio. Forse, e in quel momento Tomy se lo chiedeva, suo padre era la persona che più l’aveva compreso perché non gli aveva mai chiesto di capirsi. O, probabilmente, era stato soltanto un modo per proteggersi o per non interessarsene. Erano le domande a cui Tomy non poteva rispondere da solo, cercando di afferrare quello che poteva da quei dischi e soprattutto da quegli strani Mazzy Star, in quel momento e in quell’occasione. Senza che chi pronunciava quelle parole, o chi le aveva utilizzate per dire qualcosa, potesse confermare quanto Tomy stava immaginando.

 

This is my five string serenade / Beneath the water we’ve played / And though I’m playing for you / It might be raining there too / This is my five string serenade.

Tomy non piangeva ricordando quello che aveva passato, forse perché la vita segue le sue strade che nessuno può effettivamente capire. Il cerchio si chiudeva, l’indipendenza che Tomy aveva cercato per una vita, ora, gli veniva imposta ironicamente dalla morte, nessuno su cui dover contare o a cui rendere conto, nessuno che per doveri morali o biologici doveva prendersi cura di lui. Tomy poteva sentirsi solo, disperato, senza più radici, ma era una condizione che conosceva già da prima che la sua famiglia si estinguesse, come dono di nascita della patria in cui era nato, che prima ti tutela e poi ti abbandona, che ti fa crescere soltanto per poi costringerti ad andartene. Non era quella condizione a spaventarlo ora, nemmeno la situazione del figliol prodigo che torna dopo cinque anni in cui aveva inutilmente cercato di essere quello che avrebbe voluto essere, era soltanto la chiarezza dell’alba, che si depositava sui colli romani fuori dalla finestra, a chiarire il fatto che non ci sarebbe stato nessun altro posto in cui avrebbe dovuto vivere e arricchire con le sue parole. Il problema è che non c’era posto per lui, né a Roma né da nessun’altra parte. E come suo padre era costretto ad andarsene, di nuovo, perché non c’era nulla che potesse realmente fare per quello che c’era. Tomy non sapeva se considerarla una sconfitta sua o della generazione di suo padre, se andarsene fosse il fallimento della sua di generazioni, troppo stanca per conquistarsi qualcosa e troppo priva di forza per potersi imporre e accettare quello che c’era, o se fosse lui quello troppo sentimentale per volere continuare. Mentre componeva il numero di Merthe, ripensando a quanto aveva vissuto e perso in quella città, sapeva che non sarebbe più tornato. Di posto per lui, che di nome faceva Tomasi per uno strano scherzo del destino, non ce n’era più.

 

I want to take a breath that’s true / I look to you and I see nothing / I look to you to see the truth / You live your life / You go in shadows / You’ll come apart and you’ll go black / Some kind of night into your darkness / Colors your eyes with what’s not there.

LE ILLUSTRAZIONI SONO TUTTE REALIZZATE DA AN

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